Uno sguardo umanista sulla fine della vita e sulla morte. Pochi paragrafi per definire un tema trattato in milioni di pagine nella letteratura delle diverse culture e civiltà. Proviamo.
Uno sguardo, a differenza del semplice vedere, implica un’intenzione, un’azione relativa all’oggetto dell’osservazione. Ciò che definisce tale sguardo è ciò che lo fonda, ciò che lo sostiene.
Citiamo alcuni dei principi e valori che sostengono questo sguardo umanista sul tema della fine della vita e della morte:
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Definiamo l’essere umano come un essere integrale la cui esistenza include almeno tre aspetti: fisico, psicologico e spirituale. Diciamo che alla morte fisica finisce un ciclo biologico (la vita del corpo cessa) e si chiude una tappa psicologica (la biografia), ma la possibilità della trascendenza spirituale è latente come parte di un processo che la coscienza e la conoscenza abituale non possono cogliere, ma possono sospettare, immaginare, intuire e in alcuni casi iniziare a sperimentare.
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Questo sguardo distingue la sofferenza mentale dal dolore fisico e opera in modo differente sui due piani.
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Guarda all’evolversi della vita come a un processo, con cicli, ritmi e tappe. Ogni tappa ha un significato e un senso. Ciascuna di esse svolge una funzione all’interno dell’intero processo vitale. La tappa della fine della vita fisica è solo una di queste, importante quanto la nascita, l’infanzia o la gioventù e dev’essere trattata con lo stesso amore, cura e attenzione.
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La prospettiva umanista rigetta totalmente la concezione materialistica che centralizza la vita nel corpo fisico o nella capacità di produrre o consumare oggetti. Tale punto di vista anti-umanista rifiuta e degrada le tappe della vecchiaia, considerandole poco “utili”. La vecchiaia non è uno spreco da minimizzare. L’essere umano non è un oggetto da rifiutare nel momento in cui non possa svolgere una determinata funzione utile a un sistema sociale dominato da una tale inumana visione della vita stessa. Dunque, una prospettiva umanista deve esigere dal sistema sociale che siano destinate risorse sufficienti perché tutte le strutture sanitarie siano in grado di fornire un’assistenza completa e di qualità alle persone che si avvicinano alla fine della loro vita.
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Infine, ciò che è essenzialmente umano nell’essere umano è la sua volontà sempre rivolta al futuro, la capacità latente di allargare l’orizzonte, di trasformare la propria vita, di prendere contatto con la parte profonda ed essenziale della sua interiorità, di superare i limiti apparenti che la natura gli impone. Dentro questi apparenti limiti sta la finitezza del corpo. Perché dovrebbe fermarsi a questo limite apparente se la sua essenza ci dice esattamente il contrario?
Partendo da questi principi fondamentali che abbiamo elencato, quali sono le azioni che definiscono questo “sguardo umanista” quando si avvicina la fine della vita del corpo fisico?
Sono le seguenti:
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Imparare a differenziare il dolore fisico (che può essere attenuato con le cure mediche) dalla sofferenza mentale (che è il riflesso della paura, dell’attaccamento al corpo e agli aspetti più superficiali della personalità).
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Comprendere e aiutare nella chiusura della biografia della persona che sta percorrendo la parte finale della sua vita fisica. Questo significa che esiste la necessità di una riconciliazione profonda della persona con se stessa, con gli altri e con la vita in generale. Come possiamo aiutare questo processo di integrazione e riconciliazione che permetta tale chiusura nella calma, in pace con se stessi, con gli altri e con la vita?
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Comprendere che oltre il ciclo di vita del corpo, e della chiusura biografica, esiste un terzo processo che si sta aprendo e che non dipende dal corpo. È la possibilità della trascendenza oltre il tempo e lo spazio abituale. É la possibilità che l’intangibile che dà sostegno al corpo e alla mente, conquisti unità e trascenda verso altri stadi evolutivi.
Questa prospettiva umanista riguardo alla fine della vita (fisica) e alla morte implica un paradosso. Mentre ci congediamo dal corpo e chiudiamo la nostra biografia con affetto e amore, nello stesso tempo assistiamo alla possibilità della nascita spirituale aprendoci alla possibilità della trascendenza. Che momento sublime quello della morte! Quante cose accadono nell’intimo della persone che accompagniamo…
Uno sguardo che ri-significa la morte come transizione tra tempi e spazi non solo modifica tutto quello che accade in questa persona, ma addirittura trasforma tutto il suo scenario famigliare e sociale.
Stiamo parlando di una prospettiva che richiede un cambiamento non soltanto personale e famigliare ma anche culturale. Uscire da una cultura della paura, la negazione e il tabù della morte, per poter avanzare verso una cultura della compassione, della riconciliazione e della trascendenza.
Questo sguardo umanista trasforma il processo del morire.
Se operiamo in base ad esso, potremo aiutare a trasformare la sofferenza mentale di quei momenti in compassione e riconciliazione, l’attaccamento al corpo in abbandono e gratitudine, e il gelo della morte in un caldo accompagnamento verso la possibilità della trascendenza spirituale.
Di Victor Piccinini
Traduzione dallo spagnolo di Manuela Donati. Revisione: Silvia Nocera