Lo scorso 4 febbraio la ministra della Difesa francese Parly ha annunciato che Tolosa diventerà la sede del Centro di eccellenza spaziale della Nato.
Questo centro sarà responsabile del coordinamento delle attività dei satelliti alleati e della loro protezione dai possibili attacchi nemici. I nemici, naturalmente, sono quelli della guerra fredda 2.0.
Jean-Luc Moudenc, sindaco di Tolosa, ha già espresso il suo entusiasmo: “Questo è un grande riconoscimento per la nostra città che contribuirà allo sviluppo dell’economia locale con nuovi posti di lavoro”.
Non sembra un caso la scelta di questa città visto che entro il 2025 Tolosa diventerà la sede del “Comandament de l’Espace”, il primo comando militare spaziale francese nonché il primo del suo genere in tutta Europa. Si parla di 5000 metri quadri di quartier generale e almeno 400 addetti.
La militarizzazione dello spazio, la cui “carretta” è trainata e rilanciata dagli Stati uniti a livello globale, ha già investito pesantemente le linee guida dei programmi di cooperazione militare a livello europeo mentre la Francia col suo piano quinquennale di investimenti militari da quasi 300 miliardi di euro e la sua strabordante industria della Difesa si candida a diventare punta di lancia anche in questo settore in cordata con la Germania.
Ciò che può apparire strano è che la Nato, alla luce delle esternazioni di Macron sul famoso “encefalogramma piatto” abbia dirottato su Tolosa il suo Centro di eccellenza spaziale quando il summit di Londra del dicembre 2019 ne aveva invece indicato come sede la base di Ramstein in Germania.
Tanto più che sul tema dell’autonomia strategica e della difesa europea ci sono due posizioni molto chiare: da una parte c’è la Francia che con Macron lancia un “Paris consensus” molto ambizioso e piuttosto “tranchant” verso la Nato che si traduce nella sostanziale offerta di Parigi a porsi come piattaforma per la proiezione di forza dello scomposto neocolonialismo europeo.
Dall’altra la Germania che declina l’autonomia strategica continuando ad utilizzare strumentalmente le “opportunità” offerte dalla Nato: Nuclear sharing (testate atomiche Usa più addestramento al loro uso) e Framework Nations Concept (FNC) dall’altra. Attraverso quest’ultimo, concepito per riunire truppe di vari paesi per operazioni congiunte e a porre unità di paesi membri più piccoli sotto il comando di paesi Nato più grandi, la Bundeswehr ha infatti già incorporato sotto il suo comando una brigata ceca, una brigata rumena, due brigate olandesi.
Nel corso dell’ultimo vertice europeo della difesa la Germania ha proposto e sostenuto il suo modello ossia utilizzare il FNC per potenziare il coordinamento militare e la prontezza di reazione indicando quattro stati catalizzatori: Francia, Germania, Italia e Regno Unito (nonostante Brexit…). Coerentemente con ciò e con l’aperta contrarietà della Francia ma appoggiata da Polonia e Olanda, ha proposto l’inclusione di stati extraeuropei (Usa e Regno unito) nel finanziamento dei programmi di cooperazione industriale-militare.
Entrambe le linee stanno andando avanti di pari passo anche perché nella sostanza non si escludono. La Francia già gode del supporto europeo nel Sahel (comprese Germania e Italia), Berlino si sta ritagliando un ruolo militare sempre più assertivo mentre la Nato continua ad esercitare la sua egemonia confermata con l’abile mossa di avere “lusingato” la “grandeur” con la sede del Centro d’eccellenza spaziale.
Più in generale si conferma ed afferma l’asse franco-tedesco nei processi di militarizzazione della politica estera Ue: guerra fredda 2.0 verso Cina e Russia, militarizzazione dello spazio e corsa agli armamenti nucleari, vere ipoteche sul nostro futuro nel bel mezzo di una crisi socio-sanitaria epocale.