Il futuro Presidente del Consiglio è fautore di un modello economico e di governance che ignora l’imminenza della catastrofe ambientale, nella continua riproposizione di ricette fondate sulla centralità dei mercati.
Che cosa pensa Mario Draghi della emergenza climatica e ambientale? Essendo una persona informata è verosimile che sappia che gli allarmi lanciati da Greta Thunberg ai potenti della Terra (lui compreso) non sono un delirio adolescenziale, ma sono supportati dal parere e dalle ricerche di praticamente tutti i climatologi del mondo. Ciononostante, Draghi continua a comportarsi come se quegli allarmi non fossero veri: è un processo che Freud chiama rimozione: chiudere gli occhi di fronte alla realtà perché non si ha la capacità o la forza di affrontarne l’orrore.
Condividendo con Draghi nazionalità, cittadinanza e lingua, avendo avuto la possibilità di seguirne da presso la carriera e ora, essendo stati anche messi al corrente di molti particolari irrilevanti della sua vita privata, possiamo cercare di capire, attraverso di lui, i meccanismi che spingono tutti i grandi della Terra (e i loro infiniti valvassori) a comportarsi come se l’apocalisse climatica e ambientale non incombesse tanto sulla loro testa quanto su quella di tutti noi.
Se ne prendessero atto crollerebbe tutto il loro universo sia dottrinale (la convinzione che lo scopo dell’umanità su questa Terra sia la crescita del PIL) che quello strutturale: le politiche che hanno perseguito con inflessibile pervicacia (nel caso di Draghi, la ferma volontà di scalzare un’economia “ingessata” dalle pretese dei lavoratori, dalle interferenze dello Stato e dal finanziamento affidato al sistema bancario a favore di un sistema finanziario affidato alla speculazione: il solo, secondo lui, capace di fornire in misura adeguata risorse e linfa vitale alle imprese, ai PIL, alla crescita e magari anche al “benessere”, ancorché inegualmente distribuito, di tutti).
Ma ovviamente crollerebbe anche tutto ciò che ha alimentato e alimenta la sua carriera e la sua irresistibile ascesa, ma anche quelle dei suoi comprimari, compresi i tanti che oggi si rifugiano come pulcini impauriti sotto le sue ali di chioccia (tranne poi cedere quanto prima alla irresistibile tentazione di tornare a farsi galletti). Ma sta arrivando il tempo in cui il moltiplicarsi dei disastri ambientali costringerà tutti a capire che i progetti di Green Deal e di transizione su cui si azzuffano i politici di tutto il mondo non sono che inutili aspirine di fronte a una polmonite che richiede come minimo il ricorso alla respirazione forzata.
Per questo a molti di noi è parso che la voce di papa Bergoglio, a partire dai suoi atti e soprattutto dall’enciclica Laudato sì, sia l’unica o, comunque, la più chiara, tra le tante stonate dei “Grandi della Terra”, ad accettare di guardare in faccia senza rimozioni la realtà: nella consapevolezza che la storia della nostra specie, potrebbe essere arrivata alle soglie della sua fine: e non per l’arrivo di Gog e Magog, ma per via dell’incuria e del cinismo con cui trattiamo la Terra, le sue creature, i nostri simili; e per l’uso irresponsabile dei combustibili fossile, i cui effetti Francesco non si perita di illustrare dettagliatamente, consapevole del fatto che nessun politico ha mai ritenuto suo compito farlo.
Il messaggio della Laudato si’ è perentorio: le violenze, le ingiustizie e le diseguaglianze che affliggono il mondo di oggi sono incontestabilmente legate ai maltrattamenti che tutti noi infliggiamo al nostro pianeta e al resto del vivente: le vittime delle une e degli altri sono le stesse: i poveri della Terra; e a loro è affidato il compito di promuoverne il riscatto.
Che cosa cambia rispetto alla narrazione di altri governanti ben più potenti di lui? Apparentemente ben poco: il Vaticano, di cui Bergoglio è il sovrano, resta per ora quel covo di malaffare che è da centinaia di anni. Ma in realtà, tutto: Francesco, con l’enciclica Laudato sì, rovescia quell’approccio antropocentrico al mondo che la civiltà occidentale ha ereditato da una tradizione cristiana che fa dell’uomo il padrone del creato e che oggi domina in tutto il mondo, eccezion fatte per le enclaves indigene non ancora espropriate della loro cultura e per i tanti nuclei di resistenza nei confronti del “pensiero unico” dominante. L’uomo non è più il padrone del mondo; deve diventarne il custode.
Questo è il nucleo portante del progetto della conversione ecologica che Bergoglio ha ripreso dal pensiero di Alex Langer, e senza il quale non è possibile distinguere un qualsiasi progetto di green economy, soggetto agli alti e bassi delle convenienze del mercato e della politica, dal programma di un cambiamento radicale sia delle nostre vite – dei nostri consumi e delle nostre relazioni – sia degli assetti economici: in cui che cosa, per chi, con che cosa e dove produrre sia determinato dal coinvolgimento di comunità e territori tra loro strettamente integrati.
È un progetto fondato sull’ecologia integrale che richiede una sua traduzione politica. E questa in parte è venuta con l’enciclica Fratelli tutti, che a un mondo fondato sulla competizione di tutti con tutti – nazioni, Stati, imprese, ma anche lavoratori messi in concorrenza tra loro – contrappone un approccio fondato sulla solidarietà: che non è solo un sentimento, né un atteggiamento, né un comportamento, ma è un vero e proprio modello di società, come lo è quello odierno fondato sulla competizione. Fin qui Bergoglio.
Di qui in poi spetta a noi scoprire o inventare come applicare la solidarietà a ogni aspetto, personale, sociale, politico o culturale, delle nostre esistenze.
Articolo originale pubblicato sul Manifesto.