E «Pace!» sarà la parola che dal misericordioso Signore udiranno! (Corano, XXXVI, 58)
Itinerario per la giustizia, la convivenza e la pace
Nell’Islam – come in altre religioni o correnti di pensiero – sono emerse delle figure che hanno svolto un ruolo fondante nella diffusione della pratica della nonviolenza: un esempio importante è rappresentato da Abdul Ghaffar Khan, chiamato Badshah Khan[1]. Entrato in contatto con Gandhi e con altri pensatori musulmani indiani, ne assorbì l’influenza e si impegnò per la difesa dei diritti delle persone meno abbienti, investendo molte energie fin dall’inizio della sua ricerca nell’ambito dell’istruzione, considerata la via prioritaria per la conquista della libertà.
Inoltre si attivò anche per difendere i diritti delle donne; in questa direzione si sono impegnate anche le sue sorelle, contribuendo a sviluppare una cultura mirata al rispetto dell’identità delle donne e all’applicazione della pratica della nonviolenza nella gestione delle relazioni non solo nei confronti del popolo indiano, ma anche rispetto ai colonialisti inglesi.
Badshah Khan fondò nel 1929 il primo esercito nonviolento della storia, Khudai Khidmatgar (servi di Dio), il cui giuramento recitava: “Sono un Khudai Khidmatgar e poiché Dio non ha bisogno di essere servito, ma servire la sua creazione è servire lui, prometto di servire l’umanità nel nome di Dio. Prometto di astenermi dalla violenza e dal cercare vendetta. Prometto di perdonare coloro che mi opprimono o mi trattano con crudeltà. Prometto di astenermi dal prendere parte a litigi e risse e dal crearmi nemici. Prometto di trattare tutti i pathan come fratelli e amici. Prometto di astenermi da usi e costumi antisociali. Prometto di vivere una vita semplice, di praticare la virtù e di astenermi dal male. Prometto di avere modi gentili e una buona condotta e di non condurre una vita pigra. Prometto di dedicare almeno due ore al giorno all’impegno sociale. “ [2]
E’ importante sottolineare che i sostenitori del movimento, che hanno condiviso il pensiero di Badshah Khan, erano nati e cresciuti in un ambiente storicamente caratterizzato dalla cultura della vendetta e da un severo codice d’onore. Badshah Khan era consapevole delle enormi difficoltà e degli impedimenti che avrebbe incontrato nella diffusione di una pratica rivoluzionaria che sovvertiva equilibri e abitudini secolari.
“L’intuito di Badshah Khan colse la vera realtà della violenza pathan, una conseguenza non della sete di sangue, ma dell’ignoranza, della superstizione e del peso schiacciante dell’abitudine. Sotto la violenza e l’ignoranza, Khan vide uomini e donne capaci di straordinari sacrifici, resistenza e coraggio.”[3]
Una profonda conoscenza della propria gente e un notevole attaccamento alle tradizioni del luogo permisero a Badshah Khan di formare un’organizzazione che faceva della nonviolenza una sua caratteristica distintiva.
“Un esercito di soldati disarmati, addestrati e disciplinati, con quadri, uniformi, bandiere, un esercito di pathan disarmati, si proprio loro, solo dei pathan[4] erano abbastanza temerari da provare ad affrontare spavaldi il nemico per una giusta causa senza indietreggiare né rispondere”[5].
La forza di Badshah Khan stava nel sapere conciliare le tradizioni della sua gente e le problematiche politico-sociali emergenti legate alla presenza oppressiva inglese con un pensiero innovativo improntato sull’abbandono della violenza nella gestione delle relazioni umane.
“Sapeva quale era il suo compito: educare, illuminare, risollevare e ispirare. Una volta capito questo egli intuiva che la violenza e la corruzione sarebbero scomparse dal carattere dei pathan come rami secchi di un albero.”[6]
Oggi credo che il pensiero e le pratiche di Abdul Ghaffar Khan rappresentino una necessità sia per i musulmani, che spesso si trovano a vivere in situazioni attraversate da ingiustizie, abusi e soprusi, sia per il mondo intero. “ (… ) può aiutare a comprendere la vera grandezza dell’Islam, e soprattutto può aiutare le nazioni a comprendere il loro potenziale di amore fattivo .”[7]
“La sua vita è uno specchio perfetto dei profondi valori dell’amore, della fede e del servizio disinteressato incarnati nell’Islam fin dalle origini. Il suo nonviolento “esercito di Dio” costituisce un punto di riferimento per tutti i musulmani che cercano un’alternativa all’autodistruzione violenta.[8]”
La presentazione di una grande figura internazionale della nonviolenza ai giorni nostri assume un significato particolare e forte. Oggi nella vasta realtà plurale dell’Islam alcune correnti di pensiero, seppur minoritarie, appaiono tese a recuperare questa concezione originaria di giustizia e di pace, nello sforzo di ritrovare e rielaborare le tesi di una nonviolenza fondata sul senso di condivisione delle responsabilità sociali come strumento necessario di impegno politico e civile. A conclusione di questo breve articolo cito ancora un pensiero di Abdul Ghaffar Khan che rimanda all’insegnamento del Profeta: “Vi sto fornendo un’arma a cui la polizia e l’esercito non potranno resistere. E’ l’arma del Profeta, ma voi non lo sapete. La pazienza e la giustizia sono quest’arma. Nessun potere sulla terra può resisterle.[9]
[1] Badshah Khan nacque nel 1889 a Utmanzai, un villaggio vicino a Peshawar, oggi zona del nord-ovest del Pakistan al confine dell’Afghanistan attraversata da forti turbolenze e instabilità politiche. A questo riguardo si veda Eknath Easwaran, Badshah Khan. Il Gandhi musulmano, Edizioni Sonda, 1990,To. Nell’ambito della teorizzazione e della riflessione su Islam e nonviolenza si veda anche Chaiwat Satha-Anand, Islam e nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1997.
[2] Eknath Easwaran, Badshah Khan. Il Gandhi musulmano. op. cit., p. 132.
[3] Eknath Easwaran, Badshah Khan. Il Gandhi musulmano. op. cit., p. 118.
[4] I pathan (anche pashtun o afghani) sono un gruppo etnico-linguistico indoeuropeo che abita in prevalenza l’Afghanistan orientale e meridionale e il Pakistan occidentale, nella regione del Pashtunistan. Wikipedia
[5] Marinella Correggia,Il Manifesto, 5 gennaio 2002.
[6] Eknath Easwaran, Badshah Khan. Il Gandhi musulmano. op. cit., p. 119.
[7] Eknath Easwaran, Badshah Khan. Il Gandhi musulmano. op. cit., p. 233.
[8] Eknath Easwaran, Badshah Khan. Il Gandhi musulmano. op. cit., p. 232.
[9] D.G. Tendulkar, “Abdul Ghaffar Khan: Faith is a Battle”, Gandhi Foundation, Bombay 1967, p. 129.