In questa intervista Pía Figueroa parla con Maria Khan. Maria ha partecipato alla ribellione dei movimenti universitari contro l’imperialismo e la violenza dittatoriale nel suo paese natale, le Filippine, che si è poi sviluppata nel campo della lotta per il diritto umano all’educazione.
In seguito ha adottato posizioni a livello regionale, fino a comprendere che il mondo di oggi è uno solo e deve essere inclusivo per poter avanzare verso una Nazione Umana Universale. Il globale e il locale coesistono in questa ricerca di inclusione favorita da un’educazione libera, laica e accessibile in tutte le fasi della vita.
Trascrizione dell’intervista
Benvenuta a Pressenza, Maria, benvenuta in questo spazio di “Donne che costruiscono il futuro. Per chi non la conoscesse, Maria Lourdes Khan è l’ex segretaria generale di ASPBAE (Asia South Pacific Association for Basic and Adult Education), carica che ha ricoperto dal 1995 al dicembre 2020. Ora sta collaborando con noi come consulente per le politiche e le strategie.
Attivista per il diritto all’istruzione, Maria ha partecipato a diverse assemblee di gruppi della società civile e l’ha rappresentata presso vari organismi politici internazionali o piattaforme dedicate all’istruzione. Di nazionalità filippina, attualmente vive a Mumbai, in India.
Maria, raccontaci quali sono i tuoi interessi e le tue attività al momento e se c’è qualcosa in particolare che vuoi portare alla nostra attenzione. Che cosa ti ha spinto a dedicare la tua vita a un impegno così speciale?
Innanzitutto grazie per l’invito. Buongiorno a voi, è sera qui a Mumbai e sono felice di poter avere una conversazione che coinvolga fusi orari così diversi e che superi le migliaia di chilometri che ci separano.
Come hai detto tu, Pia, mi sono appena dimessa da ASPBAE, un’associazione regionale sorella di CLAD (Campagna latinoamericana per il diritto alla formazione). Siamo una rete regionale per i diritti civili, una delle prime nell’area del Pacifico, che si impegna a portare avanti il diritto all’istruzione per tutti. Del nostro gruppo fanno parte oltre 150 membri, ONG, educatori della comunità, attivisti, coalizioni nazionali per le campagne di istruzione, operanti in 30 paesi in un’area ampia e variegata.
Partecipo ancora a questi progetti, anche se mi sono dimessa dopo 25 anni, perché di fatto credo che il problema del diritto all’istruzione non sia ancora stato risolto. Continuo a dedicare il mio impegno a questa causa, per far sì che tutti possano beneficiare di un’istruzione di qualità, che non ci siano distinzioni sulla base di ricchezza o povertà, diversità di etnia, genere o luogo in cui si vive. Vorrei un’istruzione davvero trasformatrice, che sia pertinente e che si basi sulle realtà dei diversi contesti, che lotti per la giustizia sociale, per costruire un sentimento di comunità globale, che promuova la sostenibilità e la pace.
Inoltre mi impegno molto per costruire e rafforzare le organizzazioni e le istituzioni della società civile; parte di questa attività consiste nello sviluppo di una leadership orizzontale, inclusiva, che dia sempre più possibilità ai leader di agire, non solo in un singolo ambito, non solo a livello comunitario o dal basso, ma anche attraverso azioni che riguardano le aree regionali, nazionali e globali. ASPBAE porta avanti questa attività da decenni ed è un esempio di istituzione per la società civile, perciò sono molto entusiasta di aumentare il mio impegno verso questo obiettivo.
Che cosa ti ha spinto a fare tutto questo?
Beh, credo che sia partito tutto dalla mia infanzia. Mia madre è il mio modello di riferimento. Era una donna single, rimasta vedova da giovane e ha cresciuto da sola due figli. Non eravamo ricchi, ma nonostante questo lei aveva un forte senso della comunità ed era generosa per natura. I ricordi della mia infanzia sono pieni di azioni per la comunità, di associazioni di beneficienza che lei gestiva: voleva fare qualcosa per il villaggio di campagna in cui era cresciuta. Penso che tutto ciò abbia instillato in me il senso di ciò che è davvero il servizio sociale.
Inoltre sono stata una studentessa durante alcuni anni della dittatura militare e del governo autoritario delle Filippine. Ho iniziato l’università in un periodo in cui il movimento studentesco stava mostrando i muscoli e diceva “adesso basta”. Ho avuto il privilegio di frequentare la State University, che di fatto ha formato i leader del paese, compreso il dittatore. Aveva un ruolo speciale nella società, veniva trattata con i guanti di velluto dal regime, era il baluardo della libertà accademica e riusciva a dare un posto sicuro per la protesta e per la lotta contro la dittatura in Thailandia. Mi sono buttata a capofitto in tutto ciò, ho fatto parte della politica, del movimento studentesco, che era una delle voci più critiche del regime. Questo è successo alla fine degli anni ’70 e verso la metà degli anni ’80 il movimento di protesta si è ampliato ulteriormente. Forse conoscerete il People Power delle Filippine; non potevamo protestare contro la dittatura politica. Ci siamo ritrovati, noi che militavamo nel movimento studentesco, in una situazione nuova, in cui le nostre vite di studenti, la nostra concezione del movimento e il significato che davamo al cambiamento era la resistenza, la protesta. In quel momento la situazione si era trasformata nella possibilità di ricostruire, di rimodellare la società in base a ciò che prima avevamo solo potuto sognare.
Molti di noi che sono stati attivi nella lotta contro la dittatura, la gente della mia generazione, hanno costituito il nucleo di ciò che è poi diventata la comunità delle ONG nelle Filippine. Ed è tutto questo che mi ha portato all’impegno e alla passione di una vita verso la costruzione, il rafforzamento e la crescita delle ONG e della società civile, prima nel mio paese e poi nell’area del Pacifico.
Straordinario, davvero. Un percorso stupendo creato dalle opportunità date dall’istruzione, che è proprio quello che stai facendo e per cui stai lottando per tutto il resto del mondo. Lasciando da parte l’istruzione (o forse no), quali sono gli elementi intangibili o quelli concreti che consideri necessari per avanzare verso un mondo nonviolento, quel genere di mondo a cui tanto aspiriamo?
Una delle lezioni più importanti che ho imparato in tanti anni di militanza nel movimento studentesco e durante il mio lavoro nella società civile e con le ONG è il valore dell’inclusione, sicuramente tramite l’istruzione e nel modo di lavorare. Una parte dell’inclusione è l’apprezzamento della diversità, la celebrazione della diversità, la capacità di creare procedure e una cultura che celebri le differenze, che le apprezzi e le rispetti. Penso che il concetto di inclusione sia stato un grande insegnamento per la mia generazione, perché nel periodo della dittatura era molto facile, e forse era lo specchio di quei tempi, vedere il mondo in bianco e nero. Tutto era molto polarizzato: da una parte c’era il dittatore e dall’altra c’eravamo noi. Perciò vedere il mondo in bianco e nero è stato forse l‘essenza di quella lotta.
Ma mentre stavamo rimodellando e ricostruendo la società divenne chiaro che quel cambiamento aveva molti colori, non era semplicemente in bianco e nero. Penso che questo abbia iniziato a farci uscire dalla mentalità che avevamo, ci abbia portati avanti e resi più efficaci nel concretizzare il cambiamento. Perciò ti direi che l’inclusione e la lotta per l’inclusione sono due cose molto importanti per costruire un mondo giusto e più pacifico. Perché dove sono nata, dove mi ha portata il mio impegno su più fronti, ho visto il potere tra culture, continenti, paesi, dove inizialmente, penso sempre a causa delle proteste a cui ho partecipato, si trattava di essere nazionalisti e anti-imperialisti e si lottava per portare avanti gli interessi della propria nazione.
Questo è cambiato drasticamente per me mentre all’interno del movimento stavamo maturando nella nostra concezione del mondo, perché c’è molto che ci lega come comunità globale: si ricava molto dalla solidarietà, anche in termini economici per i nostri paesi. Ci siamo resi conto sempre di più che le decisioni vengono prese fuori dai nostri stati e dai nostri paesi, quindi è fondamentale per l’intera società civile, per il nostro settore, trovare punti comuni con altri paesi e costruire una solidarietà globale. Credo che questo possa dare un grande aiuto al raggiungimento della pace che tutti vogliamo.
Forse questo è il momento giusto, vista la pandemia in corso, dato che stiamo vivendo un periodo in cui si potrebbe costruire una nazione umana globale, che veda la convergenza di tutte le culture e l’inclusione delle diversità. Tutto ciò potrebbe dare vita a un nuovo tipo di mondo che sia universale, non più nazionale, ma allo stesso tempo locale, dove le due cose siano collegate.
Certo e nel rispetto delle diversità.
Apprezzo molto il tuo contributo, Maria, perché stiamo facendo una serie di interviste dall’8 marzo fino all’8 aprile, con donne di tutto il mondo, le più diverse possibili. Allo stesso tempo stiamo tutte costruendo un nuovo tipo di società globale e locale, pacifica e inclusiva e aprendo la strada verso un mondo nonviolento. Vuoi aggiungere qualcosa?
Vi auguro una felice Giornata Internazionale della Donna. Penso che sia il momento di fare questa conversazione mentre il mondo celebra il potere delle donne e il potere di combattere la discriminazione in tutte le sue forme.
Traduzione dall’inglese di Cinzia Simona Minniti
Revisione di Anna Polo