Il treno (Europa Edizioni 2021, disponibile anche in eBook), ultimo lavoro di Miriam Marino, è un romanzo tanto coinvolgente quanto inquietante. Un ibrido tra il thriller e il fantasy che non si manifesta subito come tale, ma bastano poche pagine perché l’atmosfera si faccia grave e si entri in un’attesa che si trasforma presto in suspense.
L’autrice ha al suo attivo un buon numero di saggi, racconti e romanzi che riflettono il suo storico impegno sul piano socio-politico, in particolare come membro attivo della rete ECO (Ebrei contro l’occupazione). Con questo libro ci porta in un’altra dimensione e non affronta storie di soprusi o di vite spezzate dalla crudeltà degli eventi politici, ma sceglie di puntare lo sguardo sull’angoscia umana di vite comuni e sui vuoti di senso che la alimentano.
Il romanzo si apre trasmettendo inizialmente al lettore solo l’ansia di un uomo che rischia di perdere il treno. Il coinvolgimento creato in poche righe è tale che viene da dire “Dai, non fermarti, non sistemare il bagaglio ora, dai che il treno parte”, e poi tirare un sospiro di sollievo appena lo sconosciuto sale e sprofonda sul sedile.
Ma quel momento di sollievo passa quasi subito perché nel vagone ci sono personaggi strani: la donna terrorizzata non si sa da cosa, il controllore irascibile che esamina i bagagli e intimorisce i passeggeri, il capotreno che dà informazioni oscure. E poi la stranezza del treno che in un momento sembra volare tra le nuvole e un attimo dopo s’infila in lunghissimi tunnel bui senza che nessuna luce si accenda all’interno.
L’uomo che rischiava di perdere il treno è un bibliotecario e il lettore lo scopre quando, disorientato dal buio, l’uomo si trova a ricordare momenti della sua infanzia e della sua gioventù dai quali riaffiora qualche rimorso e la scelta di fare il bibliotecario. Intanto il treno va, il viaggio sembra interminabile, ma lui non ricorda verso quale destinazione sia diretto e si sente invaso da un’inquietudine che cerca di placare andando a parlare con gli altri viaggiatori. Nessuno di loro ricorda dove deve scendere. L’inquietudine sale.
I vari personaggi cominciano a raccontarsi e quasi in tutti si avverte uno sgomento che si trasforma in angoscia. Sembra di trovarsi in uno strano e pauroso sogno e si entra in un climax che ricorda il film “The others” di Alejandro Amenabar. L’ansia aumenta, ma ormai il lettore è catturato e vuole seguire la storia di ognuno dei personaggi.
Due sole figure non sembrano toccate dall’angoscia dolorosa che investe tutti gli altri: sono due vecchi uomini, l’uno confortato dalla fede e l’altro rasserenato da una positività visionaria di ciò che secondo lui attende tutti i passeggeri quando arriveranno al capolinea.
Si comincia ad avere l’impressione che lo strano treno, che non fa fermate, ma dove bizzarramente ogni tanto sembra esser salito un nuovo passeggero, stia conducendo anime in transito che non sanno di esserlo.
Il bibliotecario parla con la ragazza che non aveva visto in precedenza ed entrambi si confidano di essere alla perenne ricerca di se stessi. La ragazza è una pittrice e girando per il treno scopre porte che altri non avevano visto e oltre quelle porte scopre tutti i suoi quadri, compreso quello che non ha ancora dipinto e che è solo nella sua mente. Vorrebbe capire lo scopo del suo viaggio perché neanche lei ricorda dove sta andando; forse è un viaggio di conoscenza di una nuova dimensione, perché anche lei come Andrea, il bibliotecario, cerca da sempre una profondità che non riesce a raggiungere.
Intanto uno dei due viaggiatori anziani, Adnan, un professore musulmano la cui costante preghiera lo aiuta a superare l’ansia che tormenta gli altri, sta parlando con un giovane avvocato che dice di essere ossessionato dalla vista del suo corpo tra i rottami della sua auto e non riesce a capire dove sia il vero, se tra quei rottami o su questo treno. Adnan gli confida che quella sensazione di estraneità a se stesso è anche sua e che ha l’impressione che tutto sia un’illusione. Addirittura pensa che forse questo viaggio che sembra non finire mai sia cominciato tanto tempo prima, ma solo ora che la destinazione è vicina ne ha preso coscienza. Il suo interlocutore, che è salito sul treno con la moglie e i loro due bambini, non è persuaso, ma ha voglia di parlare e comincia a raccontare parti della sua infanzia che non ha mai detto a nessuno. E piange, sconvolto da ricordi che lo fanno soffrire e da un rimorso recente che lo fa sentire responsabile di un tremendo incidente, non sa se reale o prodotto di un incubo che emerge dal suo inconscio.
Sembra di stare in uno psicodramma dove la saggezza del professor Adnan, studioso di sufismo, accompagnata da una profonda misericordia verso i suoi compagni di viaggio, fa di lui un punto di riferimento che calma le angosce, anche quella della donna terrorizzata. Adnan sembra trovare un senso ai vuoti e al panico di quella decina di passeggeri che occupano il vagone.
Intanto le notti si susseguono ai giorni in questo viaggio che sembra non finire mai e dove ogni elemento del gruppo si mette a nudo, proprio come in uno psicodramma infinito di cui il lettore è partecipe. I bambini sono estranei alle dinamiche degli adulti, ma non sono meno spaventati e ansiosi, però hanno scoperto che in uno scompartimento c’è un vecchio uomo solo che sembra molto sereno, che sorride e racconta loro bellissime favole. Passano molto tempo con questo vecchio, il quale li rassicura che il treno arriverà in un posto meraviglioso dove saranno sempre felici e potranno giocare senza che mai nessuno li rimproveri.
Ormai è chiaro che chi è salito su quel treno non è più sulla terra; a ondate torna il panico di uno o di un altro viaggiatore e il lettore è preso nell’atmosfera di suspense e non può più abbandonare il libro.
Quando Adnan dice “non possiamo sfuggire alle azioni che abbiamo compiuto nella nostra vita, possiamo solo capirle” o quando, in contraddizione con la professoressa che nega tutto ciò che non è materiale e visibile, afferma che il pensiero genera emozioni perché “è una energia illimitata e potente ed è connessa a quella dell’universo” si ha l’impressione che lui abbia già la consapevolezza che gli altri non hanno ancora. E questa sembra la ragione per cui riesce a dare un filo di serenità a quelle anime in pena ancora alla ricerca di sé, ma non tutte capaci di ammetterlo.
In realtà in lui c’è solo amore verso gli altri e una profonda saggezza, ma l’unica presenza veramente consapevole del viaggio e della meta verso cui si stanno dirigendo è Arturo, il vecchio sereno che racconta le favole ai bambini. Lo si scoprirà a pochi minuti dal capolinea e sarà un finale surreale almeno quanto il viaggio, ma libero dall’angoscia e finalmente aperto verso la luce, che l’autrice non ci mostra ancora, ma che ci assicura trovarsi a pochi passi.
Tutto il viaggio sembra essere stato un percorso verso quel finale che secondo le visioni del vecchio Arturo sarà una pausa di felicità che curerà le ferite delle loro anime e che preparerà ognuno di loro ad altri viaggi. Ma solo chi è riuscito a mettersi a nudo, a scoprirsi in quel profondo che sembrava inconoscibile, andrà verso la luce.
Non ci andrà l’arrogante artista tedesco, troppo chiuso nella sua superbia per potersi anche solo avvicinare alla conoscenza della verità. Non vorrà scendere dal treno e non arriverà dove gli altri sono arrivati, e il lettore con loro, divorando le 180 pagine necessarie per giungere all’agognato capolinea.
Il treno. Miriam Marino, Europa edizioni