“All’inizio ci hanno detto che avrebbero chiuso le scuole solo per due settimane, è passato un mese e ancora siamo a casa. I contagia sono continuati a salire, alcuni negozi sono ancora aperti, ma le scuole no. Per noi la scuola è importantissima. Ci avete fatto questo perché noi ancora non votiamo, ma ce lo ricorderemo!” con queste parole, urlate chiare da una bambina di dieci anni, si conclude uno dei più toccanti interventi della mattinata dello “sciopero nazionale della scuola“. La mobilitazione, indetta da Cobas e Priorità alla scuola, ha riempito di presidi le piazze di 60 città italiane. A Bologna, dalle 10 di questa mattina, diverse centinaia di persone, tra cui moltissimi bambini, hanno animato la “piazza del Nettuno”.
Una piazza giovane: tantissimi genitori con i figli al seguito, gruppi di studenti più grandi, ma anche i precari della scuola e quelli del mondo dell’educazione tutta. Centinaia di persone in presidio all’ombra del Nettuno. A tratti, è sembrato di vivere un grande esperimento. Una sorta di prova per una delle soluzioni proposte per il rientro a scuola: lezioni outdoor. Gruppi di genitori, bambini festanti a giocare, ma anche qualcuno intento a fare i compiti- “fortuna che ho portato il libro di scienze”- dice una bambina alle mie spalle, seduta insieme ai suoi compagni sulle scale di Sala Borsa.
Il clima conviviale, però, non ha allontanato le preoccupazioni che attanagliano i molti scesi in piazza oggi. C’è chi sottolinea l’aumento dei casi di depressione e atti di autolesionismo tra i più giovani, chi rivendica il diritto al gioco e la socialità per la fascia di età 0-6 anni. Chi, come una professoressa precaria – intervenuta dal palco- ricorda che la scuola “ci parla di futuro ci dice dove andremo”.
Gruppi diversi che si sono riuniti sotto tre rivendicazioni, alla base dello sciopero:
1) ridurre a 20 il numero massimo di alunn@ per classe e a 15 in presenza di alunn@ diversamente abili;
2) aumentare gli organici e assumere tutte le precarie e tutti i precari con concorsi per soli titoli, a partire da* docenti con 3 anni scolastici di servizio e dagli Ata con 24 mesi;
3) intervenire massicciamente nell’edilizia scolastica per avere spazi idonei ad una scuola in presenza e in sicurezza.
Alla base delle richieste la necessità di dare “Priorità alla scuola”, luogo di socialità ed apprendimento che può diventare cruciale anche per tenere a bada l’epidemia. Una necessità che moltissimi, dall’inizio dell’emergenza vedono chiara, ma che ancora non è considerata tale da chi ci governa. Insomma, quello che la piazza chiede è di approfittare di questo momento per ripartire, mettendo in ordine le priorità. La prima deve essere la scuola, perchè come ha ricordato FFF ” per uscire dall’emergenza climatica ed ecologica, serve un cambio di sistema. Per cambiare un sistema è fondamentale ripartire dalla scuola”. Mi aggiungo al coro dei molti: il tempo delle scelte è ora, non è giusto approcciarsi alla scuola allo stesso modo di come si fa con le attività commerciali. Non si può aprire e chiudere all’abbisogna. E’ necessario pensare a piani seri, perchè all’interno di edifici- spesso fatiscenti- seduti sui banchi a rotelle non ci sono merci, ma persone. Il nostro futuro.