Al processo contro Lucano e Riace, la Procura di Locri ha tenuto ieri la sua requisitoria e l’ha conclusa con richieste pesanti, prima fra tutti i 7 anni e 11 mesi di reclusione chiesti per Mimmo Lucano.
Stupore? Mah, a sentire la requisitoria del pubblico ministero si direbbe che tutto torna. Anzi, per essere più precisi, sembra che non ci sia nemmeno stato il dibattimento. Da cittadina comune che osserva il processo, è questo che soprattutto mi colpisce. Tutte le ipotesi di reato dell’informativa della GdF, che è servita per mesi ad illustrare l’impianto accusatorio, sono di nuovo qui, intonse. Solo che in sede di requisitoria non sono più ipotesi di reato, sono ormai accuse belle e buone che si traducono nell’ammontare della pena.
Nulla in questi due anni di udienze è valso ad incrinare le certezze del pm, a insinuare qualche dubbio. Neanche il crollo del super-testimone Francesco Ruga, che aveva accusato Lucano di concussione, ma che già nel 2018 il GIP aveva dichiarato inattendibile accusando la Procura di essersi fidata delle sue parole senza approfondire. Portato in aula tre anni più tardi, Ruga aveva dovuto riconoscere che Lucano non lo aveva mai minacciato. A tutti era apparso come un colpo di scena; invece non ha colpito per niente il Pm, che anzi ribadisce in pieno l’attendibilità di Ruga e rivendica la sua denuncia all’origine dell’indagine e del processo. Da lì, da quel momento iniziale che pure non era molto esaltante, con il GIP che aveva escluso la stragrande maggioranza delle accuse e aveva accusato l’indagine di superficialità e sciattezza, il PM non si è mosso.
Non si è fatto intimidire nemmeno dalla Cassazione, che nel febbraio 2019 aveva giudicato regolare l’affidamento della raccolta differenziata a due cooperative sociali di Riace e non aveva riscontrato nessun comportamento fraudolento. Nella requisitoria ritroviamo intatte tutte le ipotesi di reato sulla raccolta dei rifiuti. Né dal Consiglio di Stato, che un anno fa aveva definitivamente dichiarato illegittima la chiusura dello SPRAR di Riace da parte del Viminale, accusato di comportamento ostile per aver improvvisamente chiuso un progetto triennale che solo un mese prima aveva approvato e rifinanziato. Né dal Tribunale del Riesame che a luglio scorso, nel respingere una nuova richiesta di domiciliari per Lucano, aveva sostenuto che non c’è nessuna prova del reato associativo, né di un vantaggio personale di Lucano.
Non si è fatto intimidire nemmeno dalle vicende giudiziarie dell’avvocato Sergio Trolio, che aveva fatto la prima indagine a Riace e a febbraio è stato arrestato come protagonista di quel “sistema Crotone” che vendeva ai migranti le pratiche di richiesta di protezione – più rapido il servizio, più alto il costo. Che credibilità può avere un tale teste? Eppure il pm cita lungamente la sua deposizione e le critiche rilevate nel sistema di accoglienza a Riace; la sceglie come indagine affidabile, a differenza di quella coordinata da Francesco Campolo, che secondo lui era amico di Lucano e per questo scelse “di redigere una relazione sul CAS di Riace secondo criteri non tecnici”, in sostanza una relazione positiva.
Ma soprattutto il pubblico ministero non si è fatto intimidire neanche dalle domande del presidente, durante le udienze, sulle prove del vantaggio personale che non sono mai emerse, in un processo che la Procura aveva avviato dichiarando che Lucano si era intascato due milioni di euro sottratti dai fondi per l’accoglienza. Il movente è stato per tutto il dibattimento il punto debole della narrazione dell’accusa. Non riuscendo a provare che si fosse appropriato di soldi pubblici, si è tentato di sostenere che il suo interesse era politico-elettorale; ma anche questo era naufragato, perché Lucano non si era mai candidato in nessuna competizione elettorale; rimaneva solo un’intercettazione in cui diceva al fratello “quasi quasi mi candido”, riferendosi alle politiche del 2018, ma poi non ne aveva fatto niente. E il tema del movente di Lucano sembrava scivolare via dalla scena.
Ora invece sappiamo che il movente di Lucano c’è. Il pm lo aveva preparato quando all’ultima udienza istruttoria aveva sorpreso tutti chiedendo l’acquisizione di una recentissima intervista in cui Lucano raccontava di essersi deciso ad entrare nelle liste di De Magistris per le prossime regionali. Al presidente che gliene chiedeva le ragioni, rispondeva che la decisione di candidarsi dimostrava che in effetti l’attività politica era il suo vero scopo, come diceva quella vecchia intercettazione. Adesso di fronte alla sua requisitoria si capisce meglio il perché di quella strana richiesta che il presidente aveva respinto. Tutta la requisitoria è costruita su questo assunto: l’accoglienza è il pretesto che Lucano utilizza per costruirsi un sistema clientelare che gli assicuri i voti per portare avanti il suo progetto politico e lo sviluppo del paese.
Così Lucano inflaziona i numeri di sua iniziativa e non su richieste pressanti della Prefettura come testimoniato dagli stessi funzionari. “L’incremento dei numeri è voluto e la ragione della continua “disponibilità” alla ricezione di migranti è l’economia associata all’accoglienza”. Quando Lucano, nelle sue dichiarazioni spontanee, afferma: “Io ho detto sempre sì perché alla fine avevo capito che era utile per il territorio di Riace”, il pm traduce: “Era utile perché garantiva un continuo afflusso di denaro” e quindi la possibilità di perpetuare il sistema clientelare che rafforzava il potere di Lucano.
Secondo il pm è questo il succo della politica per Lucano. Lo sviluppo locale, il riscatto rispetto al destino di spopolamento, la rivitalizzazione della comunità attraverso nuove opportunità di lavoro, tutti quegli aspetti che hanno fatto la specificità del sistema Riace non compaiono nemmeno, per non parlare dell’idea di costruire una comunità coesa con i migranti che nello sviluppo hanno giocato un ruolo attivo, non da semplici ospiti. E’ logico allora che il sistema delle “economie”, di cui tanto abbiamo parlato nel monitorare le udienze, sia completamente asservito ad assicurare a Lucano il ritorno in termini di sostegno elettorale e che tutte le attività che sono servite a finanziare non contino, che sparisca il loro apporto in termini di integrazione. Salvo riproporre qua e là il sospetto dell’arricchimento personale: “Parte dei fondi pubblici destinati ai migranti sono stati utilizzati per interessi personali, ovverosia la patrimonializzazione dell’Associazione di Lucano. L’acquisto dei macchinari per il frantoio o la ristrutturazione di case destinate non ai migranti, ma a B&B non può considerarsi finalità pubblica ma arricchimento personale”. E così abbiamo sistemato anche il turismo solidale!
Perché il movente politico offre questo vantaggio: non ha bisogno come quello economico che si produca la prova, che si trovino i soldi, “il gruzzolo” come lo chiamava il colonnello Sportelli. Lo si può semplicemente suggerire come intento occulto, senza doverlo dimostrare. Lucano era stato rieletto nel 2014 per la terza volta consecutiva e non avrebbe potuto ricandidarsi a sindaco; allora la ricerca spasmodica di voti nel 2016-2017 a cosa gli serviva? E siccome non si è candidato in nessun’altra competizione elettorale, come possiamo provarla? La prova il pubblico ministero l’ha trovata nella sua intenzione di candidarsi oggi alle prossime regionali: come dicevo nel report precedente, la candidatura di oggi conferma le intercettazioni di quattro anni prima, il suo piano era quello di candidarsi un giorno… Peccato che si tratti di quattro anni dopo, di quattro tornate elettorali dopo e soprattutto dopo il tentativo massiccio di distruzione del modello Riace. Ma tant’è. Quell’intercettazione del 2017, che perdeva significato di fronte al dato di realtà che non si era poi candidato, per cui diventava difficile sostenere in modo convincente il suo interesse politico-elettorale, ritrova finalmente il suo senso predittivo in un’intervista di oggi.
Per questo, fra i 15 capi d’accusa che pesano su Lucano, quello di essere il capo e promotore di un’associazione a delinquere è decisivo, ancorché tutti i tribunali abbiano dichiarato insussistente il reato associativo e nella stessa istruttoria si sia rivelato un punto debole dell’accusa. Perché è l’associazione che consente di mettere in evidenza il ruolo di dominus, di sostenere che tutto il sistema era strumentale all’interesse politico-elettorale di Lucano, era preordinato alla costruzione di un sistema clientelare. Non avrebbe certo potuto farlo da solo. L’associazione dice l’intenzionalità e la progettualità. Anche se la “congrua struttura organizzativa” di quest’associazione si riduce a un fatto linguistico: “L’utilizzo del ‘noi’ è sintomatico dell’appartenenza al sistema”, afferma il pubblico ministero. E tanto vi basti.
Allora, davvero tutto torna? E’ solo l’essenziale che non torna per niente: Riace è ridotta a un progetto criminale. E proprio sulla base di quelle pratiche che per anni sono state portate avanti alla luce del sole, rivendicate pubblicamente da Lucano anche in contesti istituzionali, guardate come buone pratiche da tanti interessati alle politiche di accoglienza. C’è una rottura di senso qui che non può passare sotto silenzio.
Proviamo allora a parlare davvero di politica. In apertura di seduta il Procuratore capo Luigi D’Alessio ha detto che questo non è un processo politico al modello Riace e tanto meno all’accoglienza. La prova sarebbe che molti governi diversi si sono alternati in questi anni dal 2016 a oggi e nessuno ha fatto pressioni sulla Procura di Locri. E’ piuttosto un processo contro una cattiva gestione, tutta tesa ad assicurarsi clientele, dato che “ai migranti sono state date solo le briciole dei finanziamenti”.
Forse però il punto non è se ci sono state pressioni da parte dei governi, ma un altro. Perché quelle pratiche che da sempre hanno caratterizzato il modello Riace improvvisamente sono diventate pratiche criminali? Per questo non c’è bisogno di pressioni. Basta opporre all’idea di accoglienza e solidarietà che le animano un’altra idea delle politiche migratorie, quella che proprio in contemporanea con l’avvio dell’inchiesta ha cominciato a monopolizzare la politica e l’informazione nel nostro paese. Le accuse di invasione e sostituzione etnica scagliate contro Riace sono espressione di una posizione politica lontana mille miglia da quanto vi si era realizzato. Ed è da questa posizione che le pratiche di Riace vengono tramutate in altro: non le finalità d’integrazione, ma il consolidamento di una posizione di potere. Dire che il frantoio sociale non serve a dar lavoro ai migranti è affermare un’idea diversa dell’integrazione; pretendere che serva solo a consolidare clientele locali utili a fini elettorali richiede che si possa andare oltre una supposizione, che si portino prove che mancano. Gli atti sono gli stessi che nel 2009 Wim Wenders aveva ritratto nel film Il Volo, e che tutti conoscevano. Ma se gli tolgo l’anima, all’integrazione, ne cambio il senso senza che cambino gli atti. Mutatis mutandis, è un po’ come quelli che dicono: i naufragi sono responsabilità vostra che lasciate arrivare i rifugiati e pretendono così di trasformare il soccorso in disprezzo delle vite umane.
Il carattere politico di questo processo, D’Alessio se ne faccia una ragione, sta tutto qui: idee contro idee. Come diceva Calamandrei a proposito del processo contro Danilo Dolci, un processo politico porta sempre con sé un rovesciamento di senso, di senso morale e perfino di senso comune. Capire come avviene questo rovesciamento è il cuore di un processo politico. C’è qui un salto, uno iato che il collegio di difesa e poi il collegio giudicante dovranno riempire: come è possibile che gli atti di un uomo come Lucano, che tutti riconoscono mosso dai suoi ideali di umanità e solidarietà, che ha dato tutto se stesso per l’accoglienza e lo sviluppo del suo paese, al punto da vivere in povertà, possano essere presentati come un progetto criminale?