Si sciolgono i ghiacciai, le temperature si innalzano però abbiamo la fortuna di poter assistere allo svolgimento di attività artistiche e gare sportive di grande livello alta in montagna ma anche di poter deliziare il palato con piatti gourmet.
Su questo pianeta, dallo sviluppo della società industriale al 2021, siamo molto fortunati per poter assistere a tutto questo?
Abbiamo la fortuna di assistere a cambiamenti epocali per la crescita dell’umanità e non ce ne rendiamo conto. Ce la faremo a consegnare un pianeta vivibile alle generazioni future?
Riporta un quotidiano, tra i più diffusi in Italia, che a quota 2.150mt s.l.m. in un rifugio (cfr. enciclopedia Treccani: rifugio alpino, edificio in legno e muratura costruito in alta montagna in posizione riparata dalla caduta di valanghe e sassi, e anche dal vento, attrezzato per offrire temporaneamente riparo e ospitalità ad alpinisti e a escursionisti), dove si può arrivare comodamente con automobili di lusso, possiamo godere di preparazioni culinarie di alto livello con gustosi piatti di pescato fresco. (ndr. in questo caso si preferisce non mettere alcun link per leggere quanto viene riportato)
Cosa direbbe di questo rifugio (che non menzioniamo per verità di pubblicità), il grande alpinista, del primi anni del secolo scorso, a cui è intitolato? Forse anche a lui dopo una estenuante salita “in automobile”, lui che fondò a Trieste la prima scuola alpinismo definita di arrampicamento, avrebbe fatto piacere mettersi a tavola bevendo una bottiglia di champagne e «dell’antipasto con gamberoni alla piastra e capesante al gratin ai primi di pasta con scampi o aragosta, fino alle specialità alla griglia come secondo».
Pescato fresco: supponendo che rifugio si trovasse in Alto Adige e il pescato fresco fosse del mar Adriatico (mare famoso famoso per gli scampi, i gamberoni e l’aragosta e in linea d’aria il più vicino) verrebbe da pensare che i pescatori e i fornitori del pesce ogni giorno hanno un bel da fare per rifornire di pescato fresco il rifugio.
Anche in questo siamo fortunati, oggi abbiamo gli elicotteri. Loro in montagna offrono la possibilità di poter rifornire di pesce i rifugi o di portare sciatori (lavoratori settimanali che hanno la necessità di sgranchirsi le gambe dopo un settimana seduti alla scrivania) domenicali a fare sci fuoripista, oppure, in fine, doverli soccorrere per le sciocchezze che possono “inavvertitamente provocare” ma in quel caso la montagna è “assassina”.
Un’altra visione viene offerta da “Conversazioni montane” dove si parla del «rapporto fra le montagne, le Comunità che le abitano e i progetti artistici e culturali che le coinvolgono». Anche in questo caso ci sarebbe qualcosa obiettare, però prima di obiettare è sempre bene ascoltare ciò che viene detto da esponenti di prestigio, dei quali il Club Alpino Italiano ha la fortuna di potersi avvalere.
Sulla rivista Artribune, Irene Bagnara intervista il professor Mauro Varotto.
Riportiamo l’introduzione all’articolo e vi offriamo la lettura:
«Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una vera e propria moltiplicazione sul territorio nazionale di progettualità artistiche in cui la montagna è lo scenario o l’argomento di ricerca. Dai musei alle residenze, dalle installazioni pubbliche ai progetti d’arte partecipata, fino ai concerti con le cime innevate sullo sfondo. E se moltissime fra queste iniziative dimostrano grande consapevolezza delle criticità e specificità delle aree montane e capacità di attivare processi virtuosi di lungo periodo, altre suonano più che altro come furbesche strategie di marketing, studiate per attirare frotte di turisti senza produrre alcun impatto significativo sulle comunità locali, se non quello, disastroso, sull’ambiente.
È dunque quanto mai attuale cercare di inquadrare il problema attraverso le voci di artisti, curatori e studiosi per cercare di rispondere insieme alle questioni, spesso scottanti, aperte dall’intervento artistico in montagna. Quali le possibilità e i limiti? Quali le modalità operative e gli obiettivi? Come coinvolgere le comunità e misurare gli impatti sociali e ambientali prodotti? E infine – ma forse è proprio il punto di partenza – quali gli stereotipi da smantellare anche attraverso le pratiche artistiche e i processi culturali? Lo abbiamo chiesto a chi ha fatto di questi temi il centro della propria ricerca».
In attesa sarebbe interessante qualche forte opposizione a quanto verrà realizzato per le prossime Olimpiadi invernali nel confronto tra le Comunità che abitano le valli montane.
Visto quanto citato c’è ben poco da crederci.