Da oltre due mesi e mezzo gli operai e le operaie della GKN di Campi Bisenzio (Firenze) sono in assemblea permanente all’interno della fabbrica. Tra una riunione e l’altra riusciamo a parlare con Dario Salvetti, uno dei delegati FIOM della fabbrica.
Sei stanco, Dario?
Abbastanza.
Siete sempre dentro?
Si fanno gli stessi tre turni che facevamo prima, coprendo le 24 ore. Certo a volte per riunioni e assemblee ci si ferma oltre il proprio turno, ma a me come delegato capitava già prima di rimanere per tre, quattro o cinque ore oltre il mio turno di lavoro.
I macchinari sono tutti dentro?
Da quel 9 luglio non è uscito un bullone, tranne qualche ditta esterna che doveva ritirare del suo materiale.
Immagino che questo sia un vostro punto di forza…
Credo che avessero programmato tutto, una fabbrica con un flusso costante verso il cliente, se la chiudi devi calcolarlo mesi prima. È evidente che dal giorno in cui qui si è fermata la produzione, lo stesso pezzo che producevamo arriva là dove doveva arrivare, da un’altra fabbrica consociata GKN. E siccome ci conoscevano, probabilmente immaginavano che per un po’ di tempo non avrebbero potuto portare via i macchinari e i materiali. Forse non si aspettavano che andassimo avanti così tanto.
Quindi da qualche altra parte si sta producendo quel semiasse che producevate voi
Certo. Non sappiamo esattamente dove, ma ipotizziamo che quello che producevamo noi sia stato diviso tra cinque Paesi: Spagna, Francia, Germania, Slovenia e Polonia. Era comunque chiaro: a detta dello stesso management, chiudere noi serviva a saturare di lavoro gli altri stabilimenti.
Siete in contatto con gli operai di queste altre fabbriche?
Sì, siamo in contatto. C’è un comitato aziendale europeo che tra l’altro si svolgerà tra non molto, ma altrove non c’è lo stesso livello di coscienza sindacale. E’ triste, ma come spesso accade in questi casi: mors tua vita mea… Eppure non si rendono conto che siamo tutti a rischio: la Melrose è una finanziaria e potrebbe fare di tutto: spezzettare, rivendere, ridimensionare, se non far sparire il marchio.
Come sono stati questi due mesi e mezzo? Immagino con alti e bassi, emozioni, difficoltà, tensioni…
Fatico a ricordare la mia vita prima; è indubbio che siamo in una centrifuga, le cose cambiano di ora in ora e spesso dobbiamo riorientare le nostre decisioni in assemblea, ma direi che più che alti e bassi è stata una linea continua ascendente. Siamo partiti i primi giorni “col botto” – il colpo era stato durissimo – poi abbiamo cominciato ad organizzarci, a compattarci ed è stato un crescendo, siamo passati dall’insicurezza alla sicurezza, alla determinazione, fino quasi alla serenità. Certo non mancano gli screzi, ma è del tutto normale in questa operazione difficilissima, soprattutto oggi: che 400 persone formino una collettività con auto-disciplina e auto-responsabilità. Tra l’altro anche quelle minime gerarchie che c’erano quando lavoravamo sono saltate e siamo davvero un tutt’uno.
Come siete messi economicamente, nelle famiglie?
Al momento siamo ancora dipendenti GKN e prendiamo lo stipendio pieno; questo sicuramente aiuta. Siamo “sotto procedura di licenziamento”, anzi adesso neanche quello perché la procedura è stata sospesa, ma temiamo riprenderanno il filo… Attualmente siamo in un limbo. Se e quando arriveranno le famose lettere di licenziamento, vedremo… Il 9 luglio abbiamo scoperto che siamo capaci di prenderci la fabbrica; quel giorno eventualmente scopriremo se siamo capaci di lottare anche da disoccupati.
Quali sono state le principali sorprese e delusioni in questi due mesi e mezzo?
Sicuramente la sorpresa principale è stata quel famoso 9 luglio. In parte eravamo preparati: quando fai parte di una multinazionale che poi viene acquistata da una finanziaria, la delocalizzazione è dietro l’angolo. Quindi già da tempo avevamo predisposto un modello sindacale con molti contatti nel territorio: Anpi, associazionismo e poi scioperi di appoggio a tante altre vertenze. Tutto questo è servito poi in questo periodo, anche se non era affatto scontato. Chi poteva immaginare che nei primi giorni i circoli Arci avrebbero organizzato una maratona per portarci i pasti, quando non avevamo ancora allestito una cucina da campo nostra? Non era scontato che il sindaco (tra l’altro di un partito col quale ci scontriamo regolarmente) facesse un’ordinanza per fare in modo che i Tir non arrivassero qui. Non era scontato che la solidarietà diffusa e la partecipazione alle nostre assemblee fossero così massicce.
Le delusioni arrivano tutte ora: dopo una manifestazione come quella del 18 settembre, con una partecipazione tra le 25mila e le 40mila persone a seconda delle stime, dove tutti sono usciti camminando a due metri da terra per la contentezza, noi continuiamo a registrare un atteggiamento di “sufficienza” da parte dei vertici sindacali. A noi arrivano foto coi Gilet gialli in Francia con la scritta “Insorgiamo”; questo slogan viene mutuato da altre vertenze, eppure le direzioni sindacali continuano a non vederlo o non vogliono vederlo.
Quali sono i prossimi passi?
Abbiamo chiari i passaggi intermedi e l’obiettivo; la recente vittoria che ha allontanato i possibili licenziamenti ci permette di rimodulare i tempi. Il governo dovrebbe stabilire una normativa (contro le delocalizzazioni) prima del nostro possibile licenziamento, ma se non lo farà, come temiamo, noi non aspetteremo con le mani in mano. Ci è anche chiaro, dopo la manifestazione di sabato 18, che le prossime tappe sono o una manifestazione nazionale a Roma, o lo sciopero generale. L’11 ottobre c’è uno sciopero del sindacalismo di base a cui parteciperemo, ma non crediamo possa essere quella LA data. C’è bisogno di prepararlo bene con una campagna di largo respiro. GKN si salva se cambiano i rapporti di forza nel Paese e questi rapporti di forza non devono cambiare solo per GKN.
Che messaggio lanceresti come appello?
Chiedere di appoggiare questa lotta può sembrare egoistico, lo sappiamo, ma noi ci siamo mossi tante volte per altre vertenze. D’altra parte sappiamo anche che “finché non tocca a te…” hai sempre un lavoro dove tornare, una casa dove andare. Questo errore lo abbiamo fatto tante volte e tante fabbriche hanno chiuso; penso soprattutto ai posti di lavoro persi nel silenzio durante la pandemia. Noi diciamo a tutti di fare un favore a se stessi partecipando a questa lotta, “usando” il dramma, perché è un dramma, che stiamo vivendo come GKN, come leva per cambiare i rapporti di forza in questo Paese e mettere fine ad un’arroganza padronale che è cresciuta progressivamente.
Per questo abbiamo detto “INSORGIAMO”, non per insorgere per noi, ma con noi, ognuno con le proprie istanze, di natura lavorativa o meno; per esempio la lotta per ambiente è un tema forte che ci è vicino. Crediamo che una difesa dei diritti del lavoratore liberi energie per poter pensare anche alla società e al mondo in cui viviamo. Una società dove sei minacciato di licenziamento o, peggio, precario a vita, è una società dove non hai neppure il tempo di pensare alla tua funzione sociale. Quindi oltre ad essere un lavoratore sfruttato sei un cittadino di serie C. Crediamo di essere una possibile leva di riscatto per questo Paese e non lo diciamo solo perché siamo con le spalle al muro, ma perché non dobbiamo ripetere l’errore di mobilitarci solo quando “tocca a noi”. Quindi noi diciamo: se sfondano in GKN sfondano da tante altre parti e il potere finanziario dominerà quanto e come vorrà.