La presentazione del libro di Giuliana Mieli “Il bambino non è un elettrodomestico” (Feltrinelli), organizzata nell’ambito delle attività del Caffè filosofico “Bonetti”- Laboratorio “Ballarò”, unitamente alla Redazione Pressenza di Palermo, è stata un’occasione per riflettere sull’esperienza affettiva che unisce genitori e figli, ma anche sui legami che condizionano i rapporti sociali di adulti alla ricerca di un diverso approccio esistenziale. Nel leggerlo si ha la sensazione di trovarsi di fronte ad un libro densissimo, pieno di spunti e di suggestioni e che si muove su più piani: un piano personale che riflette l’esperienza professionale dell’autrice come consulente e formatrice del personale sanitario, medici, infermieri, ostetriche, psicologi, nei reparti di ostetricia e ginecologia. Un secondo aspetto più teorico, ci conduce in un viaggio nel pensiero filosofico occidentale nel suo tradizionale impianto scientifico galileiano-newtoniano, che, privilegiando l’aspetto razionale, ha posto in secondo piano la sfera psicologica degli affetti e della vita di relazione degli individui. Infine, una riflessione sulla maternità, sulla paternità, sul concetto di “cura”, uno sguardo su quel mondo di affetti trascurato o addirittura represso da una società sempre più orientata verso un’organizzazione economica e sociale che considera superflui i sentimenti e che continua ad ignorare le possibili conseguenze di questa rimozione.
Ma vorrei partire dall’aspetto che più mi ha affascinato nella lettura, l’esperienza emotiva della gravidanza, del parto, delle prime relazioni affettive del bimbo con la madre, con il padre e con le prime persone che lo circondano, che lo accudiscono, che lo aiutano in questa delicatissima fase della sua vita e che l’autrice intercala con la sua esperienza professionale di ricercatrice e consulente svolta per vent’anni, esperienza ricchissima di aneddoti e storie vissute, narrata con rigore intellettuale e nel contempo con un phatos che lascia intravedere il forte coinvolgimento emotivo espresso, in molti passaggi, in una forma quasi diaristica.
E’ vero, infatti, come ci avverte subito l’autrice, “che le condizioni per la sopravvivenza umana non sono soltanto fisiche, ma che esistono condizioni emotive altrettanto vincolanti la cui scoperta e teorizzazione scientifica recente non sembra essere riuscita ad entrare nel pensiero comune e ad influenzare in modo significativo l’organizzazione della nostra vita sociale”. A partire da questo assunto, lo sviluppo fisico ed emotivo di un individuo va compreso nell’ottica di una reciproca interdipendenza. Il libro dedica molte pagine all’esperienza della gravidanza, ai cambiamenti e trasformazioni di un corpo che si adatta alla vita del feto, le emozioni intense che ne accompagnano la crescita, ma anche le complicanze affettive e fisiche, le modificazioni ormonali, l’accentuarsi della sensibilità emotiva, aspetti di un percorso complesso, estenuante non sempre compreso dalla stessa donna o da chi la affianca.
Così come l’esperienza emotiva del parto, il momento della tanto temuta separazione e del “passaggio dalla simbiosi alla relazione”, tra i due attori fondamentali, la madre e il bambino. Ma anche il ruolo del padre che, certamente importante nel corso della gravidanza, si trasforma in un momento fondamentale di accoglienza, di protezione. L’acquisita consapevolezza di questo ruolo, nel corso dei primi mesi di vita e sempre più in quelli successivi, si dimostrerà essenziale per la crescita affettiva del bambino nel suo cammino verso l’autonomia. La figura materna deve essere affiancata nel lungo processo di sviluppo verso l’età adulta del bambino e la figura paterna svolge un ruolo fondamentale di sostegno e di attiva partecipazione alle cure e all’emancipazione dalla dipendenza.
L’esperienza affettiva che unisce genitori e figli risulta infatti fondamentale per trasmettere quella sicurezza, identità, fiducia in una fase adolescenziale in cui il bimbo o la bimba, diventati ragazzi e ragazze, si affacciano alla complessità della vita, dei rapporti con i coetanei, con una società in cui sempre più si affida ad “altri” la trasmissione di esperienze, saperi e in cui sempre più il ruolo genitoriale viene demandato ad alcune istituzioni, come la scuola, o alla fascinazione della realtà virtuale aperta dai social. Quanto più l’adolescente entrerà nel mondo adulto sorretto da una carica emotiva e da solide relazioni affettive, quanto più questi bisogni verranno riconosciuti e rispettati nell’infanzia, tanto più egli li ricercherà per la propria serenità e per il proprio benessere. Ecco perché il bambino “non è un elettrodomestico” da programmare a piacimento, ecco perché questa disattenzione alla maturazione affettiva può avere, e per molti aspetti ha già, conseguenze gravi per il futuro della nostra società.
Viviamo in una società che ignora e trascura gli affetti, come più volte viene sottolineato nel libro, una disattenzione le cui cause sono da ricercare in un pensiero filosofico e scientifico che poco si è occupato dell’aspetto affettivo della natura dell’uomo. L’autrice ci conduce quindi, nella seconda parte del libro, in un viaggio, un “tuffo” nella storia della filosofia per comprendere le ragioni di questo ritardo. Ed è proprio a partire dalla critica al dualismo del pensiero occidentale, l’opposizione tra mente e corpo, assunta come modello unico ed esclusivo di tutte le scienze, che va riaffermata l’interezza della vita soggettiva, con le sue emozioni, quella sfera psicologica degli affetti e della vita di relazione, strategica per la sopravvivenza della specie e dello stesso pianeta. Una rivoluzione del pensiero, come la definisce l’autrice, che, attraverso un riequilibrio tra razionalità ed emotività, può innescare un cambio di rotta in grado di fermare una deriva pericolosa e drammaticamente minacciosa per una società, come la nostra, basata sulla negazione degli affetti. Una società in cui la frenesia dello sviluppo, del progresso a tutti costi, vengono considerati l’unico modello di “civiltà”, in cui il tempo del lavoro è il tempo su cui si misura l’obiettivo più importante, totalizzante della vita adulta. Uno stile di vita per i singoli, sempre più dediti a lavori usuranti non solo fisicamente, ma anche intellettualmente e che spesso manifesta i suoi potenziali, e drammaticamente reali, effetti negativi, proprio nella famiglia, nella casa, dove stanchezza, nervosismo, trascuratezza, la fanno da padroni. E questo stile di vita che coinvolge uomini e donne allo stesso tempo, centrato sulle esigenze dell’adulto, senza alcun rispetto per tempi e modi più adatti all’infanzia, questo “riduzionismo del vivere” come lo definisce l’autrice, produce i suoi effetti negativi proprio sui bambini che lo subiscono spesso senza capacità di difesa, sugli adolescenti, facili prede di un mondo consumistico e di modelli incredibilmente attrattivi.
Negli ultimi capitoli infatti, l’autrice ci riporta al tema della gravidanza e della nascita che ritiene, non a torto, essere uno degli aspetti cruciali della fisiologia dell’esistenza, il passaggio alla responsabilità genitoriale. Un passaggio centrale in cui la formazione del personale che opera all’interno degli ospedali può trasformare un’eccessiva “medicalizzazione dell’evento” in un percorso di accompagnamento e di attenzione verso l’evento emotivo con il suo strascico di emozioni, paure, dubbi, talvolta devastanti per molte donne; una “cura” affettiva, e non solo medica che può prevenire molti disturbi psicologici, proteggendo così la relazione madre-bambino durante la gravidanza, la nascita, la crescita. E qui entra prepotentemente in gioco l’esperienza di vita, oltre che di lavoro, dell’autrice, nella formazione del personale medico, paramedico negli ospedali, le ostetriche, i pediatri, ciò che si potrebbe concretamente fare per comprendere appieno “la trama affettiva nascosta” di alcuni eventi cruciali, come ad. esempio la gravidanza. Molti gli esempi riportati su casi di donne seguite, su percorsi terapeutici che toccano vari aspetti anche di ricerca di maternità, una ricerca che negli ultimi tempi si è imposta prepotentemente nel panorama della medicina, insomma le ultime pagine ci raccontano un quadro emozionale coinvolgente, spesso doloroso, uno scenario di successi, insuccessi, di solitudini talvolta; storie di vita che si intrecciano con l’esperienza del lavoro quotidiano di assistenza alla gravidanza, un’esperienza autobiografica che Giuliana Mieli ha voluto raccontare in questo libro nella speranza, come lei stessa conclude, di condividere con i lettori, genitori, operatori sanitari, insegnanti, un’attenzione nuova verso quella sfera emotivo-relazionale dell’esistenza sia in ambito professionale che nella vita di tutti i giorni.
Un libro che si muove su più piani, abbiamo detto, in cui tutti possono leggere un po’ della loro storia di donne, di madri più o meno appagate, di padri, di figli e in cui tutti possono ritrovare un pezzo, un percorso della propria vita come genitori, o semplicemente come adulti “in cerca di un godimento sereno dell’esistenza”.