La Turchia era l’unico paese del G20 a non firmare l’Accordo di Parigi. Grazie a una manovra parlamentare fatta il 6 di ottobre questo vuoto è stato riempito. Tuttavia la stessa sera sono stati approvati due disegni di legge che potrebbero trasformare la Turchia in una discarica di rifiuti nucleari.
Accordo di Parigi, emissioni e fondi
In questi ultimi 18 anni, la crescente industria pesante, l’inquinamento generato dal consumo della carne e l’utilizzo del mezzo di trasporto privato, la deforestazione e il mal funzionante sistema della raccolta dei rifiuti facevano sì che l’emissione del gas serra aumentasse del 138%, e nel mentre Ankara avanzava dei motivi per legittimare la sua mancata firma sull’Accordo di Parigi.
Una delle motivazioni accampate da Ankara era quella di trovarsi in difficoltà nel raggiungere i fondi del Green Climate Fund; fondo istituito nell’ambito dell’UNFCCC come entità operativa del meccanismo finanziario per assistere i paesi in via di sviluppo nelle pratiche di adattamento e mitigazione per contrastare i cambiamenti climatici. Tuttavia, secondo i rappresentati del fondo, il motivo che impediva di accedere ai finanziamenti era legato sempre alle mancate politiche di Ankara nell’ambito della lotta contro il riscaldamento globale.
Oltre ciò bisognerebbe tenere in considerazione il fatto che la Turchia sia stata dal 2013 al 2016 il paese che ha usufruito di più dei fondi rilasciati dagli istituti europei per strutturare nuovi piani di lotta contro il riscaldamento globale; circa 667 milioni di Euro all’anno.
Secondo l’organizzazione ambientalista internazionale, 350.org, tra le motivazioni legate alla mancata firma della Turchia su questo accordo ci sarebbero diversi punti. Per esempio, tenendo in considerazione che il Paese compra il 70% del suo fabbisogno nazionale dell’energia dai paesi stranieri, diminuire l’emissione dei gas serra farebbe crescere il PIL del 7% già il primo anno, dato che scenderebbe la spesa legata all’acquisto dell’energia dall’estero.
Anche se diminuisse lo spreco e l’inutile consumo tornasse come un introito al Paese, il fatto che la Turchia dipenda dall’estero per le fonti di energia non rinnovabile fa pensare all’ipotesi di una serie di dinamiche geopolitiche in cui i conti economici e i pesi commerciali perversi spesso e volentieri sono dominanti. In poche parole la Turchia si trova in obbligo di comprare gas e petrolio dai suoi vicini invece che investire sulle fonti di energie rinnovabile.
Todo Cambia
Nell’ambito della settantaseiesima riunione del Consiglio Generale delle Nazioni Unite, tenuta a New York, negli Stati Uniti d’America, il 21 ottobre, la Turchia è stata rappresentata dal Presidente della Repubblica, che nel suo discorso ha anticipato la notizia che nel mese di ottobre il Parlamento nazionale avrebbe messo al voto l’Accordo di Parigi.
Infatti il 6 di ottobre, di notte, con un percorso straordinario, il Parlamento nazionale ha fatto ciò che aveva promesso al Presidente della Repubblica, negli USA, l’Accordo di Parigi è stato approvato. La stessa notte numerosi ministri e parlamentari appartenenti alla coalizione del governo e vari parlamentari dell’opposizione hanno lanciato diversi post sui social media per festeggiare questo momento “storico”.
Pochi giorni dopo, l’11 ottobre, in un intervento televisivo, il Presidente della Repubblica ha pure annunciato che al nome del “Ministero dell’Ambiente e Urbanizzazione” sarebbe stato aggiunto anche il “Cambiamento climatico”. Nel suo discorso il Presidente annunciava con questa novità l’inizio di una “rivoluzione verde”.
Ma nel mentre…
Erano le 22.08 quando il Parlamento nazionale aveva concluso l’approvazione dell’Accordo di Parigi. Una buona parte della popolazione in Turchia si avvicinava verso il letto oppure verso le infinite serie tv. Il canale televisivo ufficiale del Parlamento, Meclis Tv, aveva smesso di trasmettere il dibattito parlamentare in diretta.
Esattamente 7 minuti dopo la novità storica, è arrivato il secondo punto dell’ordine del giorno: approvare un nuovo disegno di legge. La legge numero 88, depositata negli archivi del Parlamento il 26 aprile del 2019 e il 30 maggio dello stesso anno le carte erano state consegnate al Ministero degli Esteri per discuterne. Dopo un’attesa da 895 giorni, il Parlamento nazionale, proprio il giorno in cui l’Accordo di Parigi era stato approvato, aveva deciso di mettere al voto anche questa legge, numero 88. Di cosa si tratta?
In tutto questo tempo solo il parlamentare dell’opposizione Ahmet Ünal Çeviköz (CHP) si è opposto a questa legge. Secondo Çeviköz si tratta di un cambiamento radicale che farà diventare la Turchia una discarica per i rifiuti nucleari provenienti da diversi paesi. Secondo la Camera degli Ingegneri Elettrici la legge definisce i rifiuti nucleari come prodotti che possono essere rigenerati e utilizzati.
Tranne Çeviköz nessun parlamentare si è opposto a questa legge. Durante la votazione, l’opposizione ha avuto addirittura 13 parlamentari che hanno votato a favore, mentre 82 deputati votavano contro e 137 deputati si sono astenuti.
Dopo altri 7 minuti, il terzo punto dell’ordine del giorno è stato messo al voto del Parlamento. Si chiama legge 210 ed è stata presa in considerazione per la prima volta nel mese di novembre del 2019 ed è stata discussa nel mese di aprile del 2020. Dunque per 18 mesi questa legge ha atteso le riflessioni del Consiglio Generale e il voto del Parlamento. Anche in questo caso, sorprendentemente, proprio nella notte dell’Accordo di Parigi la minestra è stata riproposta. Si tratterebbe di un accordo internazionale che diventa legge e tutela le terze parti nel caso d’incidenti e danni avvenuti presso gli stabilimenti nucleari costruiti dai paesi stranieri. Si tratterebbe di una preoccupazione legale molto attuale. Nel 2019 erano state scoperte delle crepe nella base della prima centrale nucleare del Paese ossia ad Akkuyu. La centrale costruita con la tecnologia e l’investimento di Mosca.
Anche in questo caso soltanto una parlamentare si era opposta alla proposta di legge. Si chiama Tulay Hatımoğulları Oruç e fa parte del secondo partito di opposizione ossia il Partito Democratico dei Popoli. Oruç aveva obiettato con argomenti come il mancato rispetto da parte della Turchia dei suoi obblighi negli accordi internazionali, la possibilità di un incidente e l’importo del risarcimento.
Nonostante tutto anche questa legge è stata approvata con i voti della maggioranza e nell’opposizione soltanto 23 parlamentari hanno votato contro mentre 196 si sono astenuti.
Non è la prima volta
Come racconta in modo preciso il giornalista Onder Algedik, sul sito d’informazione Gazete Duvar, non è la prima volta che Ankara provi a fare una manovra furba nascondendo dietro a un gesto green una serie di cambiamenti legislativi che aprono la strada alle vecchie strategie d’investimento, sviluppo economico e produzione energetica.
Nel 2004, il Parlamento nazionale approvò il primo Accordo sull’Ambiente e lo stesso giorno approvò anche la legge che permetteva allo Stato di esternalizzare la costruzione delle miniere del carbone e l’acquisto del carbone dall’estero con l’obiettivo di produrre energia elettrica. Praticamente un modello di produzione energetica che già nel 2004 in alcune parti del mondo si iniziava ad abbandonare.
Nel 2009 invece con una votazione massiccia il Parlamento nazionale si dichiarava a favore del Protocollo di Kyoto. La stessa settimana erano stati deliberati i permessi necessari per la costruzione delle grandi opere di enorme cementificazione, inutilità e distruzione ambientale; il terzo ponte sul Bosforo, il ponte sullo stretto dei Dardanelli, il terzo aeroporto d’Istanbul e il Palazzo Presidenziale del Presidente della Repubblica. Progetti costosi, alcuni illegali, figli di una sistematica distruzione delle vaste aree verdi ed enormi fallimenti progettuali che hanno generato ulteriore traffico, inquinamento e perdita di denaro pubblico.
Akkuyu, Mosca e rifiuti
8 giorni dopo l’intervento a New York, il Presidente della Repubblica della Turchia si è recato a Sochi in Russia per incontrare il Presidente russo. In quest’incontro, durato circa 3 ore, i due leader hanno parlato di una serie di temi legati alla geopolitica, investimenti militari e rapporti economici ma anche dell’energia nucleare. Il Presidente turco ha dichiarato che sarebbe possibile inaugurare la prima unità della centrale nucleare di Akkuyu già nel 2022.
La prima centrale nucleare della Turchia sarà finanziata dagli investitori russi, con il 93% dalla filiale Rosatom. Dopo i primi 8 anni dalla sua inaugurazione totale sarà in grado di coprire soltanto il 5.5% del fabbisogno elettrico del Paese. Inoltre numerosi esperti che hanno lavorato per il controllo del progetto l’hanno definito insufficiente e di vecchia tecnologia. Nel 2017, all’interno della relazione in merito all’integrazione della Turchia nell’Unione europea, è stato consigliato vivamente ad Ankara di rinunciare a questo progetto dato che la zona di Akkuyu risulti fortemente sismica.
Secondo la relazione dell’Unione delle Camere degli Architetti e degli Ingeneri (TMMOB), pubblicata nel 2019, la centrale nucleare di Akkuyu sarebbe un progetto fallimentare dal punto di vista ecologico, economico ed energetico.
Secondo i dati dell’Eurostat, nel 2019, la Turchia risulta la destinazione principale per i rifiuti dei paesi europei e tra quelli che arrivano nel Paese, in prima posizione si vedono i prodotti di plastica.
Dopo il voto del Parlamento nazionale si aprono due strade: per accogliere i rifiuti nucleari dall’estero e per creare una base legale per i futuri danni che un progetto fallimentare potrebbe creare come quello della centrale nucleare di Akkuyu. Dall’altra parte l’Accordo di Parigi trova un nuovo firmatario.