Vi sono molte notizie recenti riguardanti gli armamenti nucleari che a mio avviso meritano un’informazione e un commento circostanziato, che ovviamente declinerò secondo le mie sensibilità. Premetto subito per chiarezza due pareri personali. Da un lato queste notizie confermano una situazione di sostanziale stallo per le prospettive di eliminazione di questi ordigni – mentre le nuove tecnologie informatiche e di intelligenza artificiale, con la fittizia illusione fideo-tecnocratica di sottrarre le decisioni alla fallibilità degli operatori umani, avvicinano pericolosamente il rischio di una guerra nucleare. D’altro lato, in una situazione geopolitica sostanzialmente di nuova Guerra (per ora) Fredda nella quale i rischi di guerra sono i più alti dalla Caduta del Muro di Berlino e dal crollo dell’URSS, l’innegabile riarmo nucleare, meno “bilanciato” e meno controllato rispetto agli anni ’70-’80, non può che aumentare i rischi che un conflitto armato superi la fatidica soglia nucleare. Questa situazione di gravissimo pericolo dovrebbe, da un lato indurre gli Stati nucleari ad accelerare accordi sostanziali di disarmo nucleare e di riduzione del rischio, e dall’altro intensificare l’azione degli Stati non nucleari per forzare tale azione di disarmo (cosa fanno gli Stati non nucleari dell’Unione Europea?!).

Ma veniamo ai fatti.

Una prima notizia positiva: nuovi Stati aderenti al Trattato di Proibizione

Il 10 dicembre scorso la Mongolia è stata il 57esimo Stato a ratificare il TPAN. Nel corso del 2021 (e dalla data dell’entrata in vigore, 22 gennaio 2021) le ratifiche sono state 5: prima della Mongolia, Cambogia 22 gennaio, Filippine 18 febbraio, Comoros 19 febbraio, Seychelles 9 luglio.

Il progresso è innegabile, ma come sempre si può vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Dal giorno dell’apertura alle firme del trattato, 20 settembre 2017, fino al 31 gennaio 2020, in meno di 3 anni, le ratifiche erano state 52: non si può mancare di notare un notevole rallentamento. 57 Stati sono meno di un terzo dei 193 Stati che aderiscono all’ONU. Va un po’ meglio nel computo degli Stati che hanno firmato il TPAN, 86, dei quali 32 non hanno ancora trasformato la firma in ratifica ma hanno comunque assunto con la firma qualche tipo di impegno1: ma 86 sono ancora ben al di sotto dei 122 che il 7 luglio 2017 approvarono il TPAN (su 124 che avevano partecipato al negoziato: l’Olanda votò contro, e Singapore si astenne).

Comunque la si veda, la strada è ancora lunga: le speranze sono riposte nel primo meeting dei paesi aderenti al TPAN, che si terrrà a Vienna il 22-24 marzo 2022. Anche qui vi sono notizie positive: la Svezia e la Germania hanno deciso di partecipare al meeting, rompendo il fronte monolitico dei paesi dell’Alleanza Atlantica. È sperabile che l’Italia sia indotta a fare altrettanto?

Una Zona Libera da Armi Nucleari in Medio Oriente? Prospettive e/o velleità

Oltre al crescere delle tensioni internazionali, su cui tornerò, gli armamenti nucleari gravano pesantemente in una delle regioni più roventi del mondo, il Medio Oriente: qui vi sono due aspetti, diversi ma in qualche modo complementari, che giocano un ruolo decisivo.

L’arsenale nucleare di Israele ha costituito un fattore fondamentale della sua supremazia e impunità, non per caso voluto e alimentato fino dagli anni ’50 dagli Stati Uniti insieme alla Francia2. Anche per questo le richieste che il Medio Oriente diventi una Zona Libera da Armi Nucleari (NWFZ) risalgono agli anni ’70.

È necessario ricordare che nella Conferenza di Revisione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) del 1995 fu deliberata l’estensione indefinita del TNP adottando però una risoluzione sul Medio Oriente che collegava indissolubilmente tale estensione del trattato con “i massimi sforzi” per stabilire “una NWFZ effettivamente verificabile” in MO (o meglio, una Zona Libera da tutte le armi di distruzione di massa, comprese le armi chimiche e batteriologiche, WMDFZ): la risoluzione fu adottata, ma nella conclusione della Conferenza non fu possibile raggiungere il consenso su una dichiarazione finale, soprattutto per l’opposizione degli USA, che rifletteva la rabbiosa reazione di Israele anche se non partecipava alla Conferenza non avendo mai firmato il TNP. Infatti il tentativo di convocare la conferenza sulla NWFZ in MO nel 2012 fallì.

Così fu l’Assemblea Generale dell’ONU a raccogliere la palla adottando nel dicembre 2018 una risoluzione presentata dall’Egitto per convocare una conferenza annuale fino a quando tutte le parti possano raggiungere un accordo (sulla base di procedure decisionali di consenso) su un testo di trattato per stabilire la WMDFZ in Medio Oriente. Penso che nella galassia pacifista non molti abbiano presente che il 18 novembre 2018 fu convocata la prima conferenza presso la sede dell’ONU a New York. La partecipazione fu molto ampia, con la presenza di tutti i ventidue stati membri della Lega Araba, l’Iran, quattro stati dotati di armi nucleari (Cina, Francia, Russia e Regno Unito), istituzioni internazionali e una manciata di organizzazioni della società civile: non c’erano Israele e gli Stati Uniti, i quali ricorrevano al (o alimentano il) pretesto scontato che la regione non è “pronta” a discutere della WMDFZ e che questa iniziativa era semplicemente anti-israeliana.

Ebbene, per aggiornare le notizie, non sembra avere sollevato molta attenzione almeno in Italia la seconda sessione della Conferenza sulla creazione della WMDFZ, che si è svolta dal 29 novembre al 3 dicembre scorsi. Oltre al comunicato ufficiale3, non si trovano molti commenti. Tony Robinson, della Middle East Treaty Organization, ha detto che questa conferenza sta già aprendo la strada verso la creazione di una tale zona4. Alyn Ware, direttore del programma di pace e disarmo al World Future Council ha dichiarato che “In effetti, molto può essere fatto per discutere i requisiti legali, tecnici e istituzionali per stabilire una tale zona, allo stesso tempo che un dialogo diplomatico è avanzato con Israele su quali accordi potrebbero essere presi per portarli nel processo”.

A mio parere, indubbiamente modesto, questi pareri sono piuttosto ottimisti. Dal 1967 sono state istituite cinque zone libere da armi nucleari – America Latina e Caraibi, Pacifico del Sud, Sud-Est asiatico, Africa e Asia centrale: è vero che esse includono il 60% dei 193 Stati membri dell’ONU e coprono quasi tutto l’emisfero meridionale ma, particolare non indifferente, non includono nessuno Stato dotato di armi nucleari. L’idea che, una volta si decidesse di stabilire ufficialmente la WMDFZ in Medio Oriente senza Israele questo potrebbe poi essere indotto ad aderire, sembra a me piuttosto peregrina e irrealistica: l’arsenale nucleare costituisce per Israele il fattore di assoluta supremazia, ed è evidente che esso difende questa supremazia con le unghie e coi denti. Israele fu il più tenace oppositore dell’accordo del 2015 sui programmi nucleari dell’Iran, non vi è dubbio che la sua pressione fosse dietro la funesta decisione di Trump di disdire l’accordo, e da tempo è noto che ha preparato piani per un attacco militare agli impianti iraniani (avendo già fatto fuori per lo meno il responsabile dei programmi nucleari di Teheran, Mohsen Fakhrizadeh). E qui si inserisce una seconda notizia.

Una mina vagante: l’incognita dei colloqui sul nucleare dell’Iran

Dopo cinque mesi di stallo sono ripresi la scorsa settimana a Vienna i colloqui sul programma nucleare iraniano, fra Teheran e i cinque paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU più la Germania. Sarebbe lungo qui fare un quadro della situazione5. Dopo la decisione unilaterale di Trump nel 2017 di disdire l’accordo le cose sono molto peggiorate. Già dal 2015 Washington non aveva rispettato l’accordo non togliendo le sanzioni all’Iran, il quale ora pone questa richiesta come pregiudiziale: come dargli torto? Ma nel frattempo le elezioni in Iran del giugno scorso hanno portato alla presidenza l’ultraconservatore Ebrahim Raisi al posto del moderato Rohani: non è difficile capire che sarà tutt’altro che facile arrivare a una soluzione del rebus iraniano. Mentre appunto Tel Aviv appronta piani di attacco militare.

Non è facile pensare che Israele potrebbe accettare di aderire a una WMDFZ: come del resto non ha mai aderito al Trattato di Non Proliferazione. Il che non significa ovviamente che non si debbano intensificare gli sforzi per arrivare a stabilirla.

Verso una nuova Guerra Fredda (per ora) e un aggravamento del rischio nucleare

Anche su questo mi limito qui a ricordare in modo sintetico l’esasperazione dei rapporti degli USA con la Cina e con la Russia. Le tensioni con Mosca passano attraverso le provocazioni tramite la NATO ai suoi confini, e la questione dell’Ucraina. Per le tensioni con la Cina gli USA stanno organizzando alleanze nuove, che cambiano radicalmente il quadro internazionale, e non certo verso una distensione. Non vi è dubbio che la Cina sta rafforzando e modernizzando le proprie forze nucleari: d’altra parte che dire a fronte delle migliaia di miliardi investiti dagli USA a tale scopo? Non si possono certo definire progetti pacifici! [Rinvio alla mia analisi dettagliata dello stato dei principali arsenali mondiali del 14 settembre scorso, https://staging1.pressenza.com/it/2021/09/allarme-riarmo-nucleare-della-cina-e-il-vero-pericolo-o-un-pretesto-in-piu/]

Quanto alle nuove alleanze anti-cinesi ricordo: la QUAD Quadrilateral (U.S., India, Japan, Australia) security cooperation6; il patto AUCUS di sicurezza trilaterale nell’Indo-Pacifico tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti; nonché il tardivo ruggito del Leone Britannico in Oriente7.

Credo sia superfluo commentare i rischi nucleari insiti in queste crescenti tensioni: una scintilla rischierebbe di appiccare un incendio fatale!

Anche per causa delle nuove tecnologie

Dei rischi che comportano le nuove tecnologie, l’automazione esasperata, le armi autonome, anche per il controllo degli armamenti nucleari, ho discusso in dettaglio su Pressenza l’11 luglio scorso8. Mi limito qui a riprendere una citazione da un brano di A. Futter9: «[Una] dipendenza crescente da computer e software complessi, e da sempre più linee di codice, in combinazione con una sofisticata tecnologia dell’hardware e dei sensori, in tutta l’impresa nucleare, sta facendo aumentare le probabilità di normal nuclear accidents, errori e malintesi – cioè problemi indotti dai computer che potrebbero causare confusione che porta a conseguenze nucleari ingiustificate, non pianificate e non volute, e persino all’uso [delle armi] nucleari.” E aggiunge il commento: «l’aggettivo ‘normal’… sta a sottolineare che questi incidenti sono inevitabili, “normali”: prima o poi accadono e quindi, il loro aver luogo non deve sorprenderci».

Diritti umani? Le armi nucleari violano il diritto fondamentale alla vita!

Suggerisco caldamente la lettura di una, pur lunga, discussione recente fra Richard Falk e David Krieger10, che mi ha fornito suggestioni nuove11.

Il problema della violazione dei diritti umani viene agitato ad ogni piè sospinto, troppe volte ahimè strumentalmente, per fini smaccatamente politici: è un po’ il problema della trave vs. il pelo nell’occhio, sono sempre gli altri che li violano! Ebbene, osserva Falk, i governi, e i militari, degli Stati che detengono armi nucleari – e le potenziano, dilapidando fior di miliardi, seguendo una politica di potenza e gli interessi delle industrie militari – se ne infischiano in realtà della sicurezza delle popolazioni (da sempre considerate carne da cannone!) e mettono a rischio il diritto fondamentale, quello alla vita! Del resto si vive una volta sola, o la si assicura in qualsiasi modo, o è ipocrita contare nella fortuna.

Non solo, afferma Falk «Alla luce di questi sviluppi, è diventato più plausibile parlare di “apartheid nucleare” in cui le forze geopolitiche dominanti abbracciano il nuclearismo centrato nel Nord globale mentre allo stesso tempo cercano di precludere la diffusione dell’armamento ad altri stati, apparentemente se necessario facendo ricorso alle minacce o alla guerra aggressiva, specialmente contro gli avversari nella politica mondiale (per esempio attualmente l’Iran). … Per esempio, il regime di non proliferazione, distinto dal trattato, permette agli stati dotati di armi nucleari, con gli Stati Uniti in testa, di decidere quali stati possono possedere le armi e quali no.»

Il vecchio colonialismo di conquista acquista oggi il volto del dominio nucleare: «Credo che le armi nucleari svolgano un ruolo vitale nel mantenimento della stabilità egemonica, e con questo intendo il dominio nordico dell’ordine mondiale nel periodo post-coloniale.» Al che Krieger insiste: «Questa struttura gerarchica era una volta mantenuta dal colonialismo. Ora è mantenuta, almeno in parte, dalla minaccia nucleare

Mi sembra che una considerazione di Krieger sia adatta a concludere le mie considerazioni: Il nuclearismo è così intrecciato nell’attuale sistema internazionale che saranno necessari cambiamenti sistemici per risolvere le minacce nucleari all’umanità.

1. Nel computo si deve tenere presente che la Mongolia e Niue hanno saltato la fase della firma, “accedendo” direttamente al Trattato: l’accesso ha lo stesso valore legale della ratifica. Di solito avviene dopo che un trattato è entrato in vigore (v. ad esempio: https://ask.un.org/faq/14594).

2. Israele fu il primo paese, dopo Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna, a muoversi concretamente per dotarsi di una forza nucleare. Tra i fisici che avevano lavorato al “Progetto Manhattan” vi era stata un’altissima percentuale di ebrei, in maggioranza fuggiti dai paesi nazisti e fascisti: il neonato stato di Israele disponeva dunque di tutte le conoscenze necessarie a realizzare armi nucleari, ma non aveva le necessarie strutture industriali. Sembra assodato che gli Stati Uniti avevano deciso che di dare l’arma nucleare ad Israele, ma non potevano farlo direttamente, né potevano utilizzare la Gran Bretagna, anche per il ruolo che questa aveva avuto nell’istituzione dello stato di Israele. Qui entrò nel gioco la Francia, la quale soprattutto dopo la salita al governo del Gen. De Gaulle nel 1958 decise di realizzare la bomba. Con un’operazione segreta i fisici israeliani aiutarono la Francia a realizzare la bomba, e a sua volta la Francia, con un accordo di reciprocità, dotò poi Israele delle capacità necessarie a realizzarla a sua volta, usufruendo direttamente dei test nucleari francesi nel Sahara del 1960.

3. “Participants Adopt Report, Rules of Procedure for Conference on Establishing Nuclear-Weapon-Free Zone in Middle East, as Second Session Concludes”, United Nations, Meeting Coverages and press releases, https://www.un.org/press/en/2021/dc3840.doc.htm.

4. Thalif Deen, “Middle East Nuclear-Weapons-Free Zone, Long Elusive, is Making Progress, say Experts”, IDN, https://www.indepthnews.net/index.php/the-world/middle-east/4914-a-nuclear-weapons-free-zone-in-the-middle-east-still-remains-elusive.

5. Una cosa almeno vale la pena rammentare, che non vedo mai citata. Quando scoppiò l’allarme per i programmi nucleari dell’Iran e si avviarono i faticosissimi negoziati, il Brasile – nel silenzio più assoluto della comunità internazionale – ha completamente realizzato un processo di arricchimento dell’uranio del tutto analogo, per centrifugazione, e produce commercialmente uranio arricchito per i reattori di potenza. E il Brasile aveva cominciato a sviluppare il programma di arricchimento sotto la dittatura ed era arrivato vicino alla realizzazione della bomba. Quando si dice due pesi e due misure.

6. Si veda ad esempio: “The ‘Quad’: Security Cooperation Among the United States, Japan, India, and Australia”, Congressional Research Service, 2 novembre 202o0, https://sgp.fas.org/crs/row/IF11678.pdf.

7. A. Baracca, “Il leone britannico ha perso il pelo, ma non il vizio (sub)imperiale”, Pressenza, 22 settembre 2021, https://staging1.pressenza.com/it/2021/09/il-leone-britannico-ha-perso-il-pelo-ma-non-il-vizio-subimperiale/.

8. A. Baracca, “Digitalizzazione, spazio informatico: quante le delizie … e quante le croci, e i rischi?”, Pressenza, 11 luglio 2021, https://staging1.pressenza.com/it/2021/07/digitalizzazione-spazio-informatico-quante-le-delizie-e-quante-le-croci-e-i-rischi/.

9. Andrew Futter, Hacking the Bomb: Cyber Threats and Nuclear Weapons, GeorgetownUniversity Press, 2018.

10. Richard Falk è un professore emerito di diritto internazionale presso l’Università di Princeton e presidente del consiglio di amministrazione dell’Euromediterraneo Human Rights Monitor. David Krieger è il fondatore della Nuclear Age Peace Foundation.

11. Richard Falk e David Krieger, “Nuclear weapons and world order: a dialogue”, Counterpunch, 10 dicembre 2021, https://www.counterpunch.org/2021/12/10/nuclear-weapons-and-world-order-a-dialogue/.