“Salve sono Ketty Giannilivigni dell’UDI di Palermo, sono stata incaricata dalle altre compagne di contattarvi per organizzare un’iniziativa condivisa. Abbiano pensato che giovedì prossimo potremmo unirci a voi dalla Sicilia alla Val di Susa, e magari coinvolgere altre organizzazioni di donne lungo l’Italia…”
Era il 22 gennaio dell’anno che sta per concludersi e con questo breve messaggio si inaugurava una bella storia tra donne che data la distanza avrebbero avuto mille ragioni per non incontrarsi (perché tra Palermo e Torino ci sono 1585 km), ma che intanto, nonostante il lockdown, si erano trovate in rete, e sentite quanto mai vicine, accomunate da una qualità del materno ben oltre gli stereotipi – un materno combattivo, fatto di vicinanza attiva, solidarietà concreta con le ragioni che vedevano così spesso criminalizzati i loro figli.
Ed è proprio ricordando questo episodio di iniziale contatto che la stessa Ketty Giannilivigni ha introdotto giorni fa un bellissimo incontro che le Donne della Biblioteca UDI di Palermo hanno organizzato all’Istituto Gramsci (Cantieri Culturali alla Zisa), per la presentazione del libro Dove Sei di Roberta Lena, con interventi di Daniela Dioguardi, Rosa Lupano e Nicoletta Salvi in rappresentanza del collettivo delle Mamme in piazza per la libertà del dissenso di Torino, oltre alla studentessa Annalisa Laudicella, all’attivista NoMuose Virginia Dessì e a Costanza Quatriglio (anche lei regista, ultimo film all’attivo Trafficante di virus, presentato al Torino Film Festival).
Un incontro così intenso, così ricco di spunti, ben oltre la scia emotiva che un libro come questo è in grado di suscitare, da meritare senz’altro di venir recensito con non minore attenzione del libro che ne è stato l’occasione, per la quantità di riflessioni che ha stimolato.
E dunque brevemente, di che libro si tratta: del diario di una madre, che un bel giorno si sente dire dalla figlia “io fra qualche giorno parto…” “E dove vai?” “Nel Rojava, nord della Siria…” “Non scherzerai, in Siria c’è la guerra… Non dovevi laurearti a gennaio? che senso ha …” “Mamma, questa è l’unica rivoluzione riuscita di questo secolo, io devo vederla, raccontarla…”
La madre è Roberta Lena, giovinezza trascorsa in quella Roma che è stata avanguardia di sperimentazione in così tanti ambiti (il teatro, la politica, il femminismo), un’intensa carriera come scrittrice, produttrice, regista (il suo ultimo film Storia di un impiegato è stato presentato al Festival di Venezia ed esce proprio a giorni anche in DVD) una madre insomma non banale. La figlia è Maria Edgarda Marcucci, Eddi per gli amici, impegnata su tutti i fronti possibili del cosiddetto antagonismo: centri sociali, marginalità, sfratti, e soprattutto quel treno, il TAV, che da trent’anni sta mettendo sotto assedio l’intera Val di Susa fino alle porte di Torino, con carichi penali inimmaginabili per chi quella storia non la guarda neppure più – cioè la maggior parte di noi.
La madre prova a suggerire qualche iniziativa di comunicazione innovativa, via social: a colpi di click che generano altri click e sensibilizzano almeno un po’, con minimo rischio. La figlia risponde che la rivoluzione non è cosa assimilabile al virtuale, succede in presenza: “la rivoluzione ha bisogno della vicinanza dei corpi”. E quindi parte.
I nove mesi successivi, la durata di una gravidanza, trascorrono per la madre in una tempesta emotiva in cui si mescolano sensi di colpa, abbandono, rifiuto, orgoglio, risentimento, ammirazione, con momenti di pura terrore quando scopre la pericolosità di quella war zone che ha inghiottito sua figlia ormai arruolata nelle fila del YPJ (esercito femminile nord-est Siria) sotto le bombe turche di Afrin. Ed è calandosi in quella voragine emotiva, che Roberta ripercorre la sua stessa storia di donna oltre che di madre. Un tale e impegnativo processo di verifica, per il proprio stesso tragitto, integrità come persona, validità di tutto ciò che ha vissuto fino a quel momento, da richiedere la massima concentrazione, separatezza dal mondo, come dinnanzi alla più difficile delle prove.
Inevitabile il ricorso a un diario, su cui annotare angosce, pensieri, riflessioni, come dinnanzi a un girato che fai scorrere avanti e indietro più e più volte alla ricerca del bandolo. Esperienza molto simile a un parto: in quei nove mesi di attesa, la madre Roberta Lena scoprirà talmente tante cose anche di sé, da avere l’impressione di partorirsi nell’intensità di quella continua domanda, Dove sei, rivolta alla figlia. Domanda nella quale a un certo punto si rispecchia lei stessa: dove sono io, Roberta… che cosa rappresenta per me questa storia, in quanti modi mi mette in questione… e domanda che non possiamo non porci anche noi.
Pienamente raggiunta parità di genere, donne in armi e al tempo stesso radiose nelle loro divise, confederalismo democratico: eccoci a constatare la siderale distanza da chissà quanti mondi che letteralmente non vediamo, nonostante la quantità dei canali informativi a disposizione e la presunzione di sapere quanto basta. Per non dire della pericolosità di quel field work in cui la giovane Eddi ha scelto di immergersi: che madre sono stata, se è cresciuta come è cresciuta, con quel genere di intransigenza, spregio dei rischi… E quanto è arricchente questa esperienza anche per me, Roberta – quante cose mi obbliga a capire!
Ed è precisamente su questo susseguirsi di domande, che il libro diventa un percorso importante per tutte e tutti noi, riflessione su una quantità di aspetti che ci toccano non solo come genitori, ma come persone, presunti attori di quel film che chiamiamo cittadinanza, di quel sentire che sarebbe la politica – perché quante cose daremmo per scontato, o potremmo proprio ignorare, se non fosse per quel vento scomposto che sono sempre i figli…
Ed ecco che a parlarne non è solo Roberta, perché l’ulteriore intenzione di questo incontro che le Donne della Biblioteca UDI di Palermo hanno promosso con il pretesto di un libro così particolare, è stato raccontare almeno un po’ quella straordinaria storia di solidarietà tra madri che a un certo punto si è creata proprio a Torino – e non solo di solidarietà con Roberta, madre-orfana della sua Eddi, ma solidarietà tra donne diverse (diversamente educate, benestanti, informate, politicizzate) accomunate dal fatto di avere dei figli o figlie, che come Eddi hanno imboccato la strada di un impegno talmente radicale, da meritare il marchio di antagonisti, soggetti da attenzionare, potenzialmente pericolosi.
“Io non mi ero mai interessata alla politica” racconta con assoluta semplicità Rosa Lupano, che ha preso la parola poco dopo Roberta, in rappresentanza delle Mamme in piazza per la libertà del dissenso. “Quando ero ragazza mio padre mi vietava di partecipare alle proteste studentesche per cui non ci andavo, non sono mai stata una figlia difficile. Diventando adulta ho iniziato a lavorare, mi sono sposata, sono diventata madre a mia volta, vita assolutamente normale, benestante abbastanza da non avere alcun motivo di unirmi alle manifestazioni… finché è successo che mia figlia più piccola, si è trovata ad essere sempre più coinvolta su vari fronti di lotta sociale a Torino – e il suo mondo è diventato quello, un mondo di lotte anche molto dure, sui più diversi fronti dell’ingiustizia spacciata per legalità.
Ed ecco arrivare a casa le prime multe, e poi la visita degli agenti all’alba, con gran rumore perché se ne accorga tutto il palazzo, e poi capisci che certe cose magari neppure le sai – perché mia figlia è adulta e non è tenuta a farmele sapere, né potrei saperle dall’avvocato che è tenuto al rispetto della privacy. Ed è passando di smarrimento in smarrimento che a un certo punto cominci a farti delle domande, per scoprire che i ‘reati’ che inchiodano tua figlia, come molti suoi compagni, sono in realtà delle sciocchezze; o tentativi di autodifesa contro la violenza della polizia in questo o quel corteo; o situazioni di solidarietà che meriterebbero rispetto, per esempio il fatto di essere presenti allo sfratto di famiglie di immigrati totalmente privi di tutele, darsi da fare presso le autorità per trovare soluzioni a questo o quel problema. Ed è appunto ritrovandoci a più riprese nelle stesse udienze in Tribunale, confrontandoci sulle stesse difficoltà, che abbiamo deciso di unirci in questo collettivo che abbiamo chiamato Mamme in piazza per la libertà del dissenso – perché di questo si tratta, della deliberata repressione contro qualsiasi forma di dissenso. Era il 2015, l’esperienza nel Rojava di Eddi, come di Jacopo e di altri, era ancora di là da venire – e però c’era già quella della Val di Susa, dei vari centri sociali di Torino che con la valle hanno un rapporto di militante solidarietà, con le conseguenze penali che non riesci a immaginare finché non ci sei dentro, perché è letteralmente incredibile l’accanimento giudiziario di cui sono oggetto i nostri ragazzi. E del resto basta pensare all’infinità dei capi d’accusa che continuano a incriminare una Nicoletta Dosio benché sia una ex insegnante, tra l’altro preparatissima, anziana, con problemi di salute; o una Dana Lauriola, per il crimine di aver tenuto in mano un microfono durante una manifestazione di protesta che in definitiva ha causato solo un breve blocco dei tornelli su un tratto di autostrada, con danno di poco superiore ai € 700, subito rimborsati – per rendersi conto che c’è un problema grave in termini proprio di giustizia e democrazia. E però… nessuno ne parla, tutto succede nella più totale indifferenza, e questa è la cosa veramente grave.”
Nella più totale indifferenza continua infatti la storia di Eddi, che al suo ritorno in Italia è stata sottoposta a limitazione della libertà e dei diritti civili perché considerata “socialmente pericolosa”, così come abbiamo scritto recentemente su Pressenza. “Una vicenda incredibile questa di Eddi” ha commentato Daniela Dioguardi. “E non meno incredibile di quella che ha colpito Dana Lauriola! Davvero vergognosa la criminalizzazione del dissenso che viene metodicamente messa in atto dalla procura di Torino, che ha deliberatamente deciso di sposare questa idea del terrorismo, sebbene campata completamente per aria, perché in trent’anni di esistenza il Movimento NoTav è rimasto fedele alla professione di pacifismo e non sono state trovate armi: è evidente che ciò che fa paura è la sua capacità di attrazione”.
Lo spazio di una recensione non è sufficiente a riportare, oltre alle voci che abbiamo solo brevemente registrato, anche quelle della studentessa Annalisa Laudicella, vibrante di passione nell’accennare alla propria esperienza di attivismo così simile a quello di Eddi e compagni; o di Costanza Quadriglio, che da regista ha rivolto a Roberta Lena domande molto puntuali circa la genesi del libro (su come la quotidiana annotazione in forma di diario ha preso a un certo punto il volo); o di Virginia Dessì, attivista No Muos, oltre che portatrice di un’esperienza di campo con l’Associazione Verso il Kurdistan, che in tema di accanimento repressivo ha giustamente sottolineato l’ingiustizia inflitta a un pacifista integrale come Turi Vaccaro, del cui arresto a Firenze il giorno prima, gli stessi organizzatori dell’incontro avevano appena saputo. “Io non sono mamma, ma come donna, contraria alla famiglia tradizionale, ho voluto andare a vedere questa storia del confederalismo democratico, per capire come si è attuata: dove c’è un uomo c’è una donna, la parità è totale”
Sollecitazioni preziose, che non mancheranno di essere riprese in futuro, perché precisamente in questi termini si è concluso questo bell’incontro organizzato dal Collettivo delle Donne della Biblioteca UDI di Palermo: con l’impegno di non perdersi di vista, non solo sulla traiettoria di reciproco ascolto e solidarietà ormai solidamente inaugurata tra Palermo e Torino, ma con la prospettiva di allargare il cerchio anche ad altri collettivi di donne attivi in varie parti d’Italia sugli stessi temi, in primis il gruppo delle Madri contro la repressione – Contro l’operazione Lince che da Cagliari sta facendo l’impossibile per sensibilizzare l’opinione pubblica circa il carico repressivo che sta colpendo decine di giovani attivisti, in lotta contro la devastazioni di interi territori, a Capo Teulada, Decimomannu, Quirra etc, per usi militari. E infatti, subito dopo l’incontro di Palermo, le due mamme torinesi, Rosa Lupano e Nicoletta Salvi, sono volate a Cagliari per manifestare la loro solidarietà in presenza, per l’udienza che sarebbe stata prevista il 6 dicembre, ma è stata rimandata.
Come Pressenza non mancheremo naturalmente di seguire e sostenere in tutti i modi possibili l’evolversi di questo intreccio di attivismi al femminile, per cui: Restate Tutte e Tutti Pront* a fare la nostra parte anche con la semplice firma a questo o quell’appello, in mancanza di meglio. Ma ancor meglio: in presenza, con l’esserci dei corpi. Perché il cambiamento non è cosa che possa attuarsi a colpi di click sui social, e come già il femminismo aveva scoperto, nasce dall’impegno di tutti noi, donne e anche uomini, quando si mettono in discussione.