Dopo quasi due anni dall’inizio della pandemia, la situazione nelle scuole sembra essere immutata. L’incertezza e l’improvvisazione continuano a essere i tratti caratterizzanti delle politiche governative. Docenti, alunni e genitori hanno abbondantemente sperimentato tutti i limiti della Didattica a distanza (o meglio Didattica digitale integrata secondo i documenti ufficiali), accarezzando negli ultimi tre mesi un apparente e parziale ritorno alla normalità. Eppure, il notevole aumento dei contagi legati alla quarta ondata e al diffondersi della variante Omicron hanno fatto ripiombare il mondo della scuola nel caos, tra molto discutibili circolari ministeriali sulle quarantene e ansia crescente per la ripresa delle lezioni dopo le vacanze natalizie.
Colpa del destino cinico e baro? Situazione inevitabile? Forse, invece, è il caso di dire che stiano venendo al pettine tutti i nodi irrisolti e tutti i danni prodotti da un ventennio di tagli alle risorse della scuola pubblica e di attuazione delle politiche neoliberiste.
Non è azzardato pensare che si potesse fare di più e meglio per prevenire l’attuale quadro emergenziale. Infatti, bastava investire per mettere a norma gli edifici scolastici attuali e reperirne altri, adeguando gli spazi esistenti; sarebbe stato necessario porre fine alle cosiddette “classi pollaio” fissando un tetto massimo di 15 alunni per classe; si sarebbe potuto ridurre il problema strutturale del precariato scolastico assumendo docenti e personale ATA dalle graduatorie esistenti e stabilizzando gli organici Covid; occorreva potenziare il trasporto pubblico locale aumentando il numero di mezzi a disposizione anche nell’ottica generale della mobilità sostenibile e di politiche di ampio respiro finalizzate alla transizione ecologica. Inoltre, sarebbe stato auspicabile fornire alle scuole i dispositivi di sicurezza indispensabili come le mascherine Ffp2 e creare in ogni plesso delle vere e proprie infermerie secondo una logica di sviluppo della medicina territoriale.
Nulla di tutto questo è stato fatto mentre, invece, le uniche risposte da parte ministeriale si sono tradotte nei famigerati ed inutili banchi a rotelle e nella deroga al distanziamento di 1 metro tra alunni.
Un’occasione persa, quindi, per la scuola pubblica e per il suo rilancio. Pertanto, di fronte alla nuova ondata di contagi, l’unica scelta di buon senso sarebbe ricorrere alla Dad per almeno 2 settimane in attesa del raggiungimento del picco dei contagi, del contenimento della curva epidemica e dell’aumento delle somministrazioni di terze dosi tra la popolazione.
Una soluzione non pienamente soddisfacente, certo, ma comunque utile a ridurre il danno poiché, a causa dei mancati investimenti necessari prima descritti, le scuole rischiano di essere luoghi di diffusione capillare del contagio. Non possono riaprire in sicurezza non perché gli operatori non ne siano in grado ma perché non sono state messe nelle condizioni di poterlo fare. E proprio in queste ore da dirigenti scolastici e docenti giunge la richiesta di adottare un provvedimento che eviti la ripresa delle lezioni in presenza. Una misura utile per contenere l’emergenza in attesa che si possa finalmente porre al centro dell’agenda politica un vero progetto di rilancio dell’istruzione pubblica e di accesso alla conoscenza.
*insegnante precario