La pandemia da Corona-19 ha bloccato, nel vero senso, quasi tutta l’Umanità e diverse fonti qualificate (v. A , B , C , D) ritengono possibile o perfino certo che il “salto di specie” con cui quel virus, partendo da animali, è arrivato ad aggredire l’Homo Sapiens (??) sia stato facilitato dal Riscaldamento Globale.
Ma anche il Governo Draghi, come i suoi predecessori degli ultimi 16 anni, ha ignorato le raccomandazioni della Scienza sulla necessità di limitare la produzione di beni ad alto costo energetico per tentare di evitare che il Cambiamento Climatico – conseguente al Riscaldamento Globale – metta a rischio la sopravvivenza della vita sulla Terra, ed il 18 febbraio 2022 ha deciso di erogare incentivi all’acquisto di nuove auto , elettriche. Ibride o termiche di ultima generazione, stanziando ben 800 milioni per l’anno in corso e 1 miliardo l’anno per gli 8 anni dal 2023 al 2030. Decisione con la quale esso ha soddisfatto largamente la richiesta di Carlos Tavares – CEO di Stellantis, società nata dalla fusione di FCA con PSA – che pochi giorni prima aveva accennato a “conseguenze sociali” (leggasi: licenziamenti) in mancanza di sovvenzioni pubbliche all’Automotive per ancora 5 anni.
Una ricca – anche se non più freschissima – fonte di dati sulla storia dell’Automotive in Europa è ancora il rapporto, realizzato da Unioncamere e Prometeia ed edito dal Senato nel 2015.
Rapporto alla cui pagina 191 sono elencati gli aiuti economici erogati dallo Stato alla FIAT fra il 1977 ed il 2013, per un totale stimato in 7,6 miliardi.
E poiché la F nel marchio FCA sta per FIAT, può darsi che la richiesta di Tavares sia giustificata da una consuetudine vigente anni fa e ritenuta tutt’ora valida.
Ma il fenomeno non è stato solo italiano. Lo stesso rapporto dedica infatti le pagine dalla 192 alla 200 agli aiuti che 8 (dei 28) Paesi UE hanno erogato alle Case Auto – e soprattutto a quelle tedesche – fra il 2000 ed il 2011 ed al piano di aiuti previsto fino a quest’anno. In particolare, alle pagine 197 e 198 (Tabelle 8.2 ed 8.3) quegli aiuti sono elencati, rispettivamente, per anni e per Paesi.
Fra gli aiuti di Stato citati in quelle pagine, ci sono anche gli incentivi alle rottamazioni di auto datate, che le Case produttrici hanno esplicitamente più volte sollecitato per il bene dell’Ambiente. Si veda ad esempio una relazione dell’Unione Rappresentanti Autoveicoli Esteri , nella quale si legge:“Quello che UNRAE va dichiarando da due anni, e cioè il bisogno di intervenire sul rinnovo del parco circolante più anziano, è tornato di grande attualità come opportunità per contribuire più incisivamente – insieme agli altri provvedimenti determinanti previsti dal Ministero dell’Ambiente – ad evitare che lo smog prevalga sulla nostra vita quotidiana”.
“Ribadiamo perciò con forza – prosegue il Presidente – il bisogno di interventi strutturali non occasionali ma di lungo periodo, auspicando una rapida e concreta attuazione di quanto previsto in tal senso dal recente Piano antismog, sottoscritto dal Ministro dell’Ambiente e dai Presidenti di ANCI e Conferenza Stato-Regioni che prevede esplicitamente lo studio di misure volte al rinnovo del parco circolante ed, in proposito, ricordiamo la proposta che UNRAE sta indicando da due anni di defiscalizzare le auto acquistate dalle famiglie attraverso la detraibilità di parte dei costi di acquisto di un’auto nuova a fronte dell’alienazione di una vecchia”.
Per inciso, i nulli risultati “ambientali” delle limitazioni alla circolazione di certe auto, principale sistema con cui se ne è ottenuta la sostituzione/rottamazione, sono stati dimostrati gli innumerevoli esperimenti (la “prova regina”, secondo Galileo) che non hanno fatto diminuire lo smog e talvolta nemmeno impedito che aumentasse.
Si aggiunga che a godere del forzato rinnovo non sono solo le Case Auto, ma anche i commercianti di auto usate, i quali possono acquistare per pochi soldi quelle a rischio di blocco in quegli 8 Paesi UE e poi rivenderle con grossi margini negli altri 20 Paesi o fuori Ue; dove esse continueranno ad emettere CO2 ed inquinanti vari. Infatti le autovetture radiate dal Pra per esportazione sono state (fonte Aci) ben 564.234 nel 2013, 424.957 nel 2014, 397.161 nel 2015, 402.129 nel 2016 e 427.545 nel 2017;
Il rapporto Unioncamere-Prometeia elenca a pagina 194 (Tabella 8,1) come e quanto quegli 8 Paesi abbiano acconsentito, a tutto il 2010, alle richieste di incentivi alle rottamazioni avanzate dalle Case.
Quasi tutti i pagatissimi alti manager dell’Automotive europeo devono essersi illusi che la manna del forzato rinnovo potesse durare in eterno. Per cui hanno surdimensionato i loro impianti produttivi ed oggi, di fronte ad un mercato quasi saturo, le loro aziende soffrono per eccesso di produzione. Lo dimostrano sia il profluvio di pubblicità ad auto, che su tutti i media supera per frequenza quella a prodotti alimentari o comunque di acquisto quotidiano, sia i piazzali dei concessionari, ricolmi di auto invendute.
IL DANNO CLIMATICO CONSEGUENTE
Fra i beni di consumo, le auto hanno non solo i prezzi medi più alti, ma anche i più alti “costi energetici” medi di produzione. Il loro forzato rinnovo continuerà perciò a comportare grandi emissioni di CO2 ed altri gas-serra fino a quando il mix energetico mondiale non sarà formato almeno in prevalenza da fonti rinnovabili, traguardo dal quale siamo ancora piuttosto lontani.
Il costo energetico della produzione di una auto, può andare, secondo diversi sistemi di calcolo, dai 30.000 kWh (pari a dieci anni di consumi elettrici di una famiglia media europea), stimati da Wikipedia in Tedesco (vedere Beispiele), ai 76.000 kWh stimati dal prof. David MacKay, dell’Università di Cambridge. E diversi motivi fanno ritenere che oggi il costo energetico di un’auto elettrica, nonostante la sua maggiore semplicità meccanica, non sia inferiore (anzi, superiore, asserisce Tabares) a quello di un’auto termica (mentre quella di un’auto “ibrida in parallelo”. come sono tutte quelle oggi offerte, è di certo superiore).
Ebbene, la differenza fra le emissioni di CO2 per km della più vecchia e grossa autovettura ancora circolante e quelle di una elettrica (zero) può essere al massimo di 300 grammi; e poiché di auto se ne producono in tutto il mondo ed oggi, in media mondiale, vengono emessi circa 450 grammi di CO2 per ogni kWh generato, anche i “soli” 30.000 kWh di costo energetico unitario stimati da Wikipedia fanno sì che produrne una nuova faccia emettere, in media mondiale, tredici tonnellate di CO2, cioè oltre 43.000 volte, in pochi giorni, quella che emetteva la vecchia auto in ogni km percorso durante molti anni di uso. Come dire che solo dopo aver percorso 43.000 km l’auto elettrica avrà “compensato” le emissioni di CO2 conseguenti al suo costo energetico (n.b. sul piano quantitativo, ma non su quello temporale, che è importante perchè la persistenza della CO2 in atmosfera è stimata fra i 50 e i 200 anni) .
Per questo gli scienziati, sia in Italia sia in Europa sia in USA raccomandano di limitare la produzione di beni e servizi ad alto costo energetico.
L’errore – o il trucco – su cui si basa invece il forzato rinnovo del parco circolante sta nel considerare le emissioni conseguenti alla produzione di un veicolo come “di fonte industriale” anzichè “di fonte trasporti” e perciò facenti parte di un problema da affrontare e risolvere in altro contesto.
Infatti il Green Deal dell’Unione Europea (pag 10 – 2.1.5) si cura delle emissioni di gas serra conseguenti all’uso dei veicoli, ma ignora quelle, molto maggiori, conseguenti alla loro produzione, non raccomandando di limitarla.
Con lo stesso criterio, di conseguenza, è stata predisposta la bozza di DDL del Green Deal italiano , che nella sua lunga parte dedicata alla mobilità sostenibile promuove con incentivi o con facilitazioni fiscali il rinnovo del parco circolante privato e pubblico e la rottamazione dei veicoli sostituiti; in palese contrasto, oltretutto, con i principii base dell’Economia Circolare (adottata dal Parlamento Europeo il 10 luglio 2015 e approvata dalla Commissione Ambiente del nostro Senato il 14 giugno 2016): “Utilizzare il più a lungo possibile i beni esistenti e produrre il meno possibile di rifiuti”. Ai risultati controproducenti di cui sopra si deve aggiungere che la criminalizzazione dei diesel – il motore termico che emette meno CO2 – ha fatto aumentare le emissioni di quel gas più di quanto le avessero fatte diminuire le nuove auto elettriche entrate in circolazione. Un fenomeno rilevato di recente sia in Svizzera che nel resto d’Europa .
A tale proposito, poichè la colpa attribuita ai diesel (n.b. inizialmente solo in USA) è di emettere ossidi di Azoto (NOx) – classificati come irritanti delle vie respiratorie, ma non cancerogeni , a differenza del benzene, emesso dai motori a benzina, tanto cari ai petrolieri, va rilevato che una fonte qualificata e finalizzata a contrastare il Cambiamento Climatico ha stimato che le emissioni umane di NOx siano solo il 38% del totale e che i Trasporti a motore termico (tutti, non solo quelli terrestri privati), insieme ai processi industriali ed alla generazione di elettricità con centrali termiche, contribuiscano alle emissioni di quel gas per appena il 3,8% (10% di 38%) .
Le conseguenze economiche del forzato rinnovo del parco circolante privato meriterebbero una trattazione a parte. In questa sede, basti considerare che nei suoi “anni buoni”, come il 2015, il 2016 ed il 2017, gli Italiani hanno speso – o si sono indebitati per – oltre 30 miliardi l’anno in acquisti di nuove auto. Cosa che non può non aver lasciato un segno, negativo, sui fatturati di tutte le altre attività, non legate all’Automotive. Ad esempio, essendo stati assorbiti dal settore Automotive, e perciò sottratti ai fatturati degli altri settori, circa 100 miliardi di euro nei tre anni precedenti il 2018, nel 4° trimestre di quell’anno le Pmi – nelle quali lavora il 78,7% degli occupati nelle imprese italiane – Hanno subito una battuta di arresto alla loro ripresa.
Per cui, anche considerato che oggi le maggiori Case produttrici di auto sono tutte straniere e che gran parte di quel danaro è quindi stato esportato, dovrebbero esserne preoccupati non solo i climatologi, ma anche i cultori del PIL italiano.
Leonardo Libero