Anche se le forze armate emettono vaste quantità di gas serra, sono in gran parte esenti da qualsiasi sforzo per combattere il cambiamento climatico. Gli autori di questo articolo hanno invitato i capi di Stato riuniti in Scozia in occasione del COP26 a prendere delle misure per garantire che il settore militare faccia finalmente la transizione ecologica.

Primo Ministro del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, Presidente della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima COP26,

Presidente della Repubblica francese, depositario dell’Accordo di Parigi del 12 dicembre 2015 a seguito della Conferenza ONU sul clima COP21,

Il settore militare non è adeguatamente coinvolto nello sforzo di difesa del clima; il complesso militare-industriale è riluttante ad assumersi le sue responsabilità. È essenziale rispondere alla mobilitazione che c’è stata il 6 novembre a Glasgow e in tutto il mondo. Queste giornate di azione globale per il clima sono un’opportunità per coinvolgere le forze armate nello sforzo globale. Dal 2001, il 6 novembre [1] è la Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in caso di guerra e di conflitto, in onore degli sforzi fatti alla Conferenza sul disarmo di Ginevra a favore della Convenzione ENMOD del 1978, che fu ratificata da tutte le grandi potenze tranne la Francia.

In un momento in cui i rappresentanti della comunità internazionale riuniti a Glasgow cercano di limitare il consumo di combustibili fossili, ci dispiace notare che gli aerei da combattimento (come il Rafale per esempio) consumano più di 110 litri di carburante al minuto [2]. Globalmente, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha emesso più CO2 nel 2017 di un paese come la Svezia (10 milioni di abitanti). E il settore militare-industriale britannico emette ogni anno più gas a effetto serra di sessanta singoli paesi, come l’Uganda (45 milioni di abitanti), secondo un rapporto del 2020. In breve, poiché l’impronta di carbonio delle attività militari è così grande, sembra che non includerle negli obiettivi di riduzione comprometta la lotta per limitare la crisi climatica.

L’esercito americano emette più CO2 di molti paesi. Emissioni di CO2 stimate nel 2017, in milioni di tonnellate.

In effetti, troppi sforzi diplomatici sembrano essere stati fatti per assolvere i militari da qualsiasi responsabilità per il cambiamento climatico. Durante i negoziati del protocollo di Kyoto (nel 1997), prima della sua entrata in vigore nel 2005, le autorità statunitensi dell’epoca fecero pressione affinché le emissioni militari fossero esplicitamente escluse dalle valutazioni globali delle Nazioni Unite. L’accordo di Parigi del 2015 (COP21) non menziona tale esclusione, ma queste emissioni sono rimaste fuori dal conteggio. L’accordo lascia ai governi la facoltà di decidere se assegnare o meno un obiettivo di riduzione alle loro forze armate. Come risultato di questo atteggiamento lassista, abbiamo ragione di temere che le autorità militari e le imprese militari-industriali saranno tentate di esentarsi da qualsiasi sforzo di riduzione e di barare nella contabilità del carbonio delle loro attività escludendo, come fanno le autorità francesi, l’impronta di carbonio delle operazioni esterne (Opex).

Diritto alla trasparenza

Attiriamo la vostra attenzione sul fatto che le persone che rappresentate hanno diritto alla trasparenza. Grazie al lavoro delle ONG, l’informazione è sempre più accessibile ai cittadini e noi ce ne rallegriamo. A questo proposito, possiamo accogliere con favore il lancio, il 9 novembre, del sito web www.militaryemissions.org che sostiene la protezione piuttosto che la militarizzazione.

Ma secondo uno studio del febbraio 2021 commissionato dalla Sinistra Unitaria Europea (EUL) al Parlamento Europeo, solo la Germania, la Slovacchia e Cipro forniscono dati completi sulle loro emissioni, che sono trasmessi alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) attraverso i rapporti combinati nazionali ed europei. Crediamo che questi dati dovrebbero essere messi a disposizione dei parlamentari di tutti i paesi.

A livello istituzionale, sulla scia della COP26, sarebbe opportuno mobilitare cittadini e parlamentari per avere, inizialmente a livello europeo, un Consiglio di Sicurezza Climatica all’interno del Consiglio d’Europa e inserire questo tema tra le priorità della Sottocommissione di Sicurezza e Difesa (Sede) del Parlamento europeo, prima di estenderlo alle Nazioni Unite.

Signor Primo Ministro, signor Presidente della Repubblica, è vostra responsabilità promuovere misure per combattere efficacemente le emissioni di gas serra e contribuire così a un nuovo clima di pace e sicurezza nel mondo.

Vi preghiamo di trasmettere questa lettera ai vostri colleghi di Glasgow e di accettare l’assicurazione della nostra massima considerazione.

 

Note:

[1] Risoluzione A/RES/56/4 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

[2] Con due motori Snecma M88.

 

Gli autori:

Ben Cramer è un giornalista e ricercatore associato al Grip (Bruxelles) e redattore del blog Athena21.org.

Bernard Dreano è il presidente del Centro di studi e iniziative di solidarietà internazionale (Cedetim) e co-fondatore dell’Assemblea dei cittadini europei (HCA-Francia).

Traduzione dal francese di Raffaella Forzati. Revisione di Thomas Schmid.

L’articolo originale può essere letto qui