All’inizio della stagione primaverile si presenta puntuale come le rondini una classicissima del ciclismo: la Milano San Remo. Così classica che quest’anno ha celebrato i suoi 116 anni di sudata presenza nel panorama del ciclismo internazionale. La Milano San Remo è una corsa a un’unica tappa che collega Milano alla città di San Remo per un totale di 293 kilometri.
A parlare di questa gara ciclistica si fa subito riferimento all’arrivo della bella stagione e alla fine dell’inverno. Temperature miti e il sole che già può scaldare i volti dei tanti curiosi e appassionati in attesa lungo le strade che portano al mare e dal mare che vanno verso il ponente, fino ai limiti della Liguria e alla “città dei fiori”. Ed è così tutto d’un fiato una gara dove non ci si confronta con lo scorrere della lancette, ma con le strade di tutti i giorni e con tutti i 166 avversari.
La prima volta che si organizzò una corsa del genere fu il 14 aprile 1907. Lo schema, seppure con qualche aggiustamento, non si discosta molto da quello attuale: partenza da Milano e arrivo in un’unica volata a Sanremo. Una corsa veloce, ma anche fatta di salite e pericolose discese e soprattutto di un panorama ammirevole lungo tutto il litorale della Liguria.
Quest’anno la vittoria è andata al corridore sloveno Matej Morich, con un tempo di 6 ore 27 minuti e 49 secondi. Un tempo record, secondo solo alle 6 ore e 25 minuti e 6 secondi che ottenne Gianni Bugno nel lontanissimo 1990. Sempre tenendo d’occhio le cifre osserviamo che il ciclista sloveno ha condotto una gara ad una velocità media di 45,3 km /h.
Le cronache pre-post gara hanno individuato l’elemento chiave nella scelta di applicare un nuovo sistema di regolazione automatico dell’altezza della sella. Questo sistema tecnico, chiamato Seat Post Dropped, è regolabile dal corridore e permetterebbe allo stesso di alzare o abbassare l’altezza del sellino a seconda del tratto stradale che sta percorrendo: un po’ più basso per una discesa pericolosa e un po’ più alto quando vuole spingere lungo un tratto in pianura. Secondo l’atleta del team Bahrain Victorious “Niente sarà più come prima! Oggi il ciclismo è cambiato!”.
A gara conclusa è bene soffermarsi a valutare le cifre, anche quelle che non riguardano esclusivamente le prestazioni atletiche.
Per questi 166 corridori divisi in 24 squadre che si muovevano compatti per tutti i 293 kilometri si sono attraversati complessivamente 49 territori comunali, suddivisi in 6 province e 2 regioni: Lombardia e Liguria.
Inevitabilmente la carovana ha prodotto rallentamenti e deviazioni. Fin qui non c’è nulla di strano, ma ragionando su questa corsa in strada, la prima del quasi fine pandemia, possiamo lasciarci andare ad alcune libere interpretazioni di tutta la costruzione organizzativa che vi ruota intorno.
Immaginando che per ognuna delle 24 squadre si ipotizzano 3/4 veicoli, se ne ricava un bella quantità di CO2. E questo pensando alle innovazioni tecniche applicate alla gara come il Seat Poat dropped.
Uno spettatore che a bordo strada aspetta il gruppo o chi è partito all’attacco deve districare la sua ricerca tra non meno di una cinquantina di veicoli e moto per meccanici, preparatori tecnici, mezzi di soccorso, polizia locale e giornalisti al seguito. Senza contare l’elicottero che riprende dall’alto tutta la competizione.
E così il povero appassionato vede un corteo di veicoli precedere e quasi oscurare il gesto atletico del gruppo, che quasi scompare fra tanti mezzi. Un passaggio di pochi secondi e lo spettatore a bordo strada ha giusto il tempo di un applauso di incoraggiamento, subito oscurato dal roboante passaggio di moto e automobili delle squadre in corsa.
Un attimo veloce e il carrozzone è già lontano: restano in coda le sparute autorità locali e altre code di automobilisti completamente ignavi, quasi sorpresi in questo primo vero sabato primaverile, che si chiedono perché mai nessuno si muova al semaforo.