Tornare in Italia una volta l’anno e ascoltare i commenti delle persone, formati in base a pregiudizi e ai contenuti superficiali e di parte dei mezzi di comunicazione tradizionali è veramente deprimente.
Quando il TG1 decide di dedicare metà della sua programmazione a raccontare storie di vita di cittadini ucraini costretti a fuggire per la guerra, omettendo così le tante numerose guerre che stanno avvenendo nel mondo, non risponde solo a una logica di “appetibilità” degli avvenimenti (vicinanza, numero di persone coinvolte, impatto sulla vita degli ascoltatori); si tratta soprattutto di un atto politico.
Quando la prima donna ministra degli esteri degli Stati Uniti viene presentata con un profilo di strenue difensore dei diritti umani c’è qualcosa che tocca.
Al secondo telegiornale chiedo in famiglia se questo è più assimilabile a un circo o alla propaganda.
L’incapacità di elevare il livello della messa in discussione è pressoché totale. Chi prova ad avanzare domande viene tacciato di essere di sinistra, no global, ribelle, rompiscatole. Nemmeno l’innalzamento del 300% della tariffa del gas fa riflettere sulla sovranità nazionale rispetto alle decisioni dei potenti complessi economico-politici che governano l’Europa.
I cittadini europei non hanno paura di manifestare contro la guerra. Lo hanno fatto da sempre e continuano ad esporre la loro posizione con bandiere e manifestazioni. Ma dove sta la capacità di arrivare al livello politico? Non siamo stanchi di occupare le piazze e vedere che le decisioni continuano a fare il loro corso, indipendentemente da tutto e da tutti?
In quest’impasse si gioca la capacità di un popolo di trasformare la società in cui vive, la sua capacità di superare lo scollamento della casta politica e dei poteri economici da chi abita i territori. Negli anni Settanta abbiamo assistito al metodo armato con le Brigate Rosse. Non era questo il modo giusto. Dobbiamo inventarne altri. I movimenti no global italiani e mondiali della fine degli anni Novanta hanno aperto esperienze e modi di vedere il mondo alternativi ai punti di vista di partito e, in molti casi, hanno dimostrato che un altro mondo é possibile! Il Cile di oggi ci mostra un’altra strada possibile che fa paura alla casta politica perché le sfugge, perché ragiona in modo diverso, perché prova a fare le cose non solo in modi diversi ma anche con finalità diverse.
Oggi, al mio bar preferito in centro a Modena, quello in cui si svolgono le migliori riunioni, tra l’associazione di volontariato, i sindacati e l’ARCI, il barista di tutta la vita mi ha chiesto in che parte del mondo stessi vivendo adesso. “In Cile” ho risposto. “Non mi piace il freddo, ma in Cile adesso c’è la rivoluzione; i no global sono al potere! Bisogna stare lì!”.
Le rivoluzioni non si fanno da sole e nemmeno dal giorno alla notte. E come disse il nostro caro Che Guevara: “I liberatori non esistono. Sono i popoli che liberano se stessi”.
Allora a tutti, cileni e italiani: buon lavoro!
Cristina Bianchi