982 comuni si preparano al voto del prossimo 12 giugno, quando 8 milioni e mezzo di italiani saranno chiamati a scegliere il proprio sindaco (oltre ad esprimersi sui 5 quesiti referendari: sulla riforma del Csm, sull’abolizione della legge Severino, sui limiti agli abusi della custodia cautelare, sulla separazione delle funzioni dei magistrati e sull’equa valutazione degli stessi magistrati).
Eppure, ogni mese in Italia la mafia provoca lo scioglimento di un ente locale democraticamente eletto. Stiamo parlando dello scioglimento delle amministrazioni locali conseguente a fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso introdotto nel nostro ordinamento nel 1991 (decreto-legge n. 164, interamente abrogato) in uno dei momenti più difficili della lotta tra Stato e mafia, poi oggetto di numerose modifiche nel corso degli anni e ora compiutamente disciplinato dal Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali o Tuel (artt. 143-146 del decreto legislativo n. 267 del 2000).
Sono 365 i decreti di scioglimento degli Enti locali per infiltrazioni mafiose dal 1991 ad oggi. Si tratta soprattutto di Amministrazioni Comunali, ma ci sono anche aziende sanitarie e ospedaliere. E fra gli Enti locali la cui vita politico-amministrativa era condizionata dalla criminalità organizzata, ben 71 sono stati colpiti dal provvedimento di scioglimento più di una volta: 52 di questi sono stati sciolti due volte e 18 addirittura tre volte.
Sono alcuni dei dati impressionanti contenuti nel Dossier 2021 “Le mani sulle città” curato da Avviso Pubblico.
Nel 2021 sono stati sciolti 14 Consigli comunali per infiltrazioni mafiose, tutti nel Sud Italia: in Campania 2 (Marano di Napoli, Villaricca), in Puglia 4 (Squinzano, Carovigno, Foggia, Ostuni), in Calabria 4 (Guardavalle, Nocera Terinese, Simeri Crichi, Rosarno), in Sicilia 4 (Barrafranca, San Giuseppe Jato, Calatabiano, Bolognetta). Tra questi, spicca il Comune di Foggia, trattandosi del secondo Comune capoluogo sciolto dal 1991 ad oggi (il primo era stato il Comune di Reggio Calabria nel 2012).
Che cosa determina lo scioglimento di un Comune? Una parte significativa delle relazioni prefettizie – che sono alla base dei decreti di scioglimento e che Avviso Pubblico ha passato in rassegna- si concentra sul ruolo svolto dagli Amministratori locali e dai dipendenti comunali, elencando elementi di collusione, scelte amministrative inquinate dalle organizzazioni criminali, parentele e frequentazioni con soggetti controindicati (appartenenti ai clan ovvero a questi contigui o comunque vicini).
Spesso queste risultanze si incrociano tra loro in un quadro che coinvolge in molti casi anche la fase delle campagne elettorali. Il cuore delle relazioni prefettizie è costituito dall’analisi dei settori della vita pubblica che sono inquinati dagli interessi della criminalità organizzata.
Da una lettura complessiva di queste emerge chiaramente che lo scopo principale delle mafie, nel loro operare sul territorio, è costituita dalla ricerca di occasioni di infiltrazione nell’economia locale, attraverso l’accaparramento di appalti e la gestione di servizi pubblici: queste operano mostrando spiccate attitudini imprenditoriali, utili anche per reinvestire i proventi illeciti delle loro attività, e capacità di tessere relazioni con uno spettro (talvolta anche molto ampio) di amministratori locali, a partire dalle campagne elettorali.
Emblematiche le relazioni che fanno riferimento a vicende di inquinamento elettorale: ciò è avvenuto, oltre che con il sostegno elettorale diretto agli esponenti prescelti, anche con intimidazioni nei confronti di altri candidati o, specularmente, con appoggi bipartisan, a dimostrazione della pervasività delle organizzazioni criminali.
Gli accordi raggiunti in questa fase sono poi oggetto di puntuale attuazione una volta avvenuta l’elezione, ma anche quando l’elezione dei soggetti vicini ai clan per qualche motivo non si concretizza si riesce a trovare il modo per attuare una forma di compensazione.
Nelle relazioni ricorrono spesso alcuni elementi di sviamento della vita amministrativa dalla cura dell’interesse pubblico. In particolare, emergono in tutti gli scioglimenti le manovre illecite che vengono compiute in materia di appalti ed affidamenti pubblici di lavori, servizi e forniture, e le carenze in tema di verifiche e controlli antimafia.
Si tratta cioè di procedure, a volte illecite altre volte elusive (ma non per questo meno gravi), che consentono di violare o di aggirare una serie di cautele che la legge prescrive per prevenire le infiltrazioni mafiose. Nell’ambito degli appalti pubblici, ad esempio, sono ricorrenti gli affidamenti diretti; il ricorso alla somma urgenza senza che però vi sia un effettivo riscontro nei fatti; l’artificioso frazionamento degli appalti stessi, per far sì che questi restino “sotto soglia”. Tutte procedure che consentono, evidentemente, di assegnare lavori e servizi pubblici a soggetti controindicati, contigui o addirittura appartenenti alla criminalità organizzata. Il risultato è quello di creare delle vere e proprie situazioni di oligopolio o addirittura di monopolio in alcuni settori, a tutto danno della collettività.
Il quadro è completato dalle gravi carenze riscontrate in quasi tutti i Comuni rispetto alle verifiche e ai controlli antimafia, che in molti casi non vengono richiesti dal comune e sono omessi anche rispetto ad appalti e servizi con importi molto significativi. Viene infine evidenziato, in alcuni casi, una certa confusione tra compiti dell’apparato burocratico e compiti amministrativi nell’espletamento delle procedure maggiormente oggetto di attenzione da parte dei clan.
I settori della vita amministrativa comunale che risultano oggetto delle attenzioni mafiose coprono in buona sostanza l’intero spettro delle competenze comunali: questo mostra, ancora una volta, che le attitudini imprenditoriali mafiose sono in grado di coprire ambiti e settori che sono i più diversi tra loro, a seconda delle occasioni di arricchimento e di riciclaggio del denaro.
Un primo forte argine alle infiltrazioni della mafia nelle nostre città andrebbe eretto già durante la campagna elettorale, momento nel quale -come abbiamo visto- spesso si consolidano i “patti criminali” tra candidati e mafie. E proprio per questo Avviso Pubblico da anni ha redatto una Carta composta da 23 articoli che indica concretamente come un buon amministratore può declinare nella quotidianità i principi di trasparenza, imparzialità, disciplina e onore previsti dagli articoli 54 e 97 della Costituzione: contrasto al conflitto di interessi, al clientelismo, alle pressioni indebite, trasparenza degli interessi finanziari e del finanziamento dell’attività politica, scelte pubbliche e meritocratiche per le nomine interne ed esterne alle amministrazioni, piena collaborazione con l’autorità giudiziaria in caso di indagini e obbligo a rinunciare alla prescrizione ovvero obbligo di dimissioni in caso di rinvio a giudizio per gravi reati (es. mafia e corruzione).
La Carta di Avviso Pubblico rappresenta un codice etico fatto non tanto di buoni propositi e belle intenzioni, ma un documento che prevede anche divieti – es. non ricevere regali superiori ai 100 euro in un anno – e sanzioni, che vanno dalla censura pubblica sino alle dimissioni.
Qui la Carta di Avviso Pubblico.
Le adesioni alla Carta vanno inviate a: organizzazione@avvisopubblico.it
Scarica il facsimile per l’adesione dei singoli amministratori o candidati
Sottoscrivere la Carta già durante la campagna elettorale (e pubblicizzare la sottoscrizione) per i candidati alle cariche di sindaco o consigliere comunale significa sottoscrivere un patto chiaro e verificabile con i cittadini elettori con il quale si obbligano ad avere – una volta eletti – sempre comportamenti improntati alla legalità, alla trasparenza e alla correttezza amministrativa, unici veri antidoti in grado di contrapporsi efficacemente alla tentacolare presenza delle mafie nelle nostre città.