Pubblichiamo uno stralcio dell’editoriale di Marco Bersani, con il quale si apre il numero di maggio della rivista “Lavoro e Salute”
[…]Come in un tempo sospeso, in questi ultimi quindici anni siamo passati da una crisi finanziaria a una crisi sociale, da una pandemia ad una guerra, senza soluzione di continuità. E sullo sfondo, ma in maniera ormai non più rimovibile, ci troviamo immersi in una crisi ecoclimatica che rischia di pregiudicare nell’arco di un tempo sempre più prossimo le stesse condizioni della vita umana sulla Terra. Mentre lo scenario sopra descritto dovrebbe spingere ad una riflessione collettiva sugli elementi sistemici di questo susseguirsi di “crisi” e di “emergenze” e aprire l’orizzonte a profondi cambiamenti sociali ed ecologici, il modello liberista lo utilizza per proseguire sulla medesima strada di sempre, costruendovi intorno un telaio istituzionale ancor più autoritario. E’ il caso di due provvedimenti normativi collegati alla Legge di Bilancio 2022: l’Autonomia Regionale Differenziata e il Ddl Concorrenza. Di che cosa si tratta? L’Autonomia Regionale Differenziata prende avvio con la riforma del Titolo V della Costituzione, prevista dalla Legge Costituzionale n. 3 del 2001 e, prevede la possibilità, ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, di attribuire forme e condizioni di autonomia alle Regioni a statuto ordinario in tutte le materie – fino a 23- che la Costituzione attribuisce alla competenza legislativa concorrente.
Tre Regioni hanno già compiuto passi importanti in questa direzione sottoscrivendo pre-intese con il governo: Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, che chiedono la competenza legislativa esclusiva rispettivamente su 23, 20 e 16 materie. Stiamo parlando di settori fondamentali per la vita delle cittadine e dei cittadini, quali, solo per citarne alcuni, istruzione, sanità, infrastrutture, beni culturali, ricerca, sicurezza sul lavoro, ambiente. Se l’operazione andasse a buon fine e tutte le regioni ricorressero a questa possibilità, ogni regione avrebbe – ad esempio – la propria scuola o la propria gestione del territorio, emancipandosi definitivamente dalle norme generali che attualmente sono in capo allo Stato che, in quanto tali, definiscono in termini di eguaglianza i diritti che è compito della Repubblica garantire.
Si tratta di essere statalisti e di non riconoscere le specificità territoriali?
Certo che no. Non ogni diversità territoriale va rigettata a prescindere, ma vanno senza ombra di dubbio respinte le differenziazioni che assumono le diseguaglianze come elemento propulsivo e di competitività per questo o quel territorio, ampliando le già sensibili distanze tra Nord e Sud, tra aree urbane e metropolitane e aree interne del Paese. Differenziazioni siffatte conducono ad una vera e propria “secessione dei ricchi”, creando cittadini con diritti di cittadinanza di serie A e di serie B a seconda della regione in cui vivono. In pratica i diritti (quanta e quale istruzione, quanta e quale protezione civile, quanta e quale tutela della salute) diventeranno beni di cui le Regioni potranno disporre a seconda del reddito dei loro residenti.
Quindi, per averne tanti e di qualità, non basterà essere cittadini italiani, ma cittadini italiani che abitano in una regione ricca. Del resto, quale miglior dimostrazione del fallimento di ogni ipotesi di autonomia differenziata della gestione sanitaria della pandemia? La sostituzione del centralismo statale con venti centralismi regionali ha determinato il caos nei provvedimenti da prendere, con le gravi conseguenze che tutte e tutti abbiamo visto. Un ulteriore aspetto va infine sottolineato. Il processo di autonomia differenziata è irreversibile e sottratto al controllo parlamentare. Infatti, una volta che le intese fra Stato e Regione vengono approvate dal Parlamento, tutto il potere di definizione degli specifici contenuti normativi e finanziari del trasferimento di competenze e risorse è demandato a Commissioni paritetiche Stato\Regioni e non possono essere modificate se non con il consenso delle regioni interessate; ed è assai difficile immaginare che esse, una volta ottenute competenze, risorse, personale, accettino di tornare indietro.
Se l’autonomia differenziata amplifica le diseguaglianze fra territori differenti, il Disegno di legge sulla Concorrenza e il Mercato, attualmente in discussione in Parlamento, è destinato ad amplificare le diseguaglianze fra le persone all’interno dello stesso territorio. Il Ddl Concorrenza è una delle cosiddette “riforme abilitanti” concordate con l’Unione Europea per avere accesso ai fondi previsti dal Next Generation Eu, attraverso l’approvazione del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Che cosa prevede? Già la premessa è tutta un programma, laddove si afferma che il provvedimento ha lo scopo di “promuovere lo sviluppo della concorrenza e di rimuovere gli ostacoli all’apertura dei mercati (..) per rafforzare la giustizia sociale, la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici, la tutela dell’ambiente e il diritto alla salute dei cittadini”.
Marco Bersani
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