A Palermo si può davvero parlare di un processo capovolto. Basta ascoltare le registrazioni audio delle udienze su Radio radicale. La difesa di Salvini, subito sostenuta dai media più vicini, ha cercato di giustificare il rifiuto arbitrario nella indicazione del porto di sbarco e il prolungato trattenimento a bordo di Open Arms in acque nazionali, contestando le attività di ricerca e soccorso svolte al tempo dei fatti, nell’agosto del 2019, dalla nave umanitaria in acque internazionali. Da ultimo la difesa ha chiesto di utilizzare addirittura un filmato dei primi soccorsi in acque internazionali girato da un misterioso sommergibile italiano, spuntato fuori durante l’audizione del Capo dipartimento del ministero dell’interno Mancini, su circostanze del tutto ininfluenti sull’accertamento delle responsabilità dell’imputato, che aveva negato la indicazione di un porto di sbarco sicuro in contrasto con quanto previsto dal Diritto internazionale. Sembra svanire nel corso delle udienze dibattimentali quello che costituisce il principale capo di imputazione a carico dell’imputato, il senatore Salvini, che è stato rinviato a giudizio per abuso d’ufficio e sequestro di persona. Un reato che, nella prospettazione dell’accusa, si sarebbe perfezionato quando la nave si trovava in acque territoriali. Si deve ricordare al riguardo che il reato di sequestro di persona non richiede un dolo specifico, essendo invero sufficiente il dolo generico “consistente nella consapevolezza di infliggere alla vittima la illegittima restrizione della sua libertà fisica, intesa come libertà di locomozione” (Cass.Pen.,sez.V,n.19548/2013) .
Ma di tutto questo sembra che al processo Salvini-Open Arms non si debba parlare, ed i diversivi messi in atto dalla difesa hanno fin qui permesso di capovolgere il ruolo delle parti processuali e di mettere sotto accusa i comportamenti della ONG Open Arms. Si tratterebbe invece di accertare se era “illegittima” la “restrizione della libertà fisica, intesa come libertà di locomozione” inflitta ai naufraghi soccorsi nell’agosto del 2019 dalla nave Open Arms ai quali veniva negato per settimane lo sbarco in un luogo sicuro (place of safety-POS), quali che fossero le motivazioni dell’ex ministro Salvini.
Come si era verificato nelle udienze precedenti, di cui sono reperibili le registrazioni audio, su Radio Radicale. le dichiarazioni della difesa non hanno avuto alcuna attinenza con i reati contestati, ma si sono limitate ad attaccare le ONG, continuando a definire le loro attività come “agevolazione dell’immigrazione clandestina”, o come attività di soccorso non autorizzata(!), se non a offendere, per il tono sprezzante adottato, la dignità del Tribunale, degli avvocati di parte civile e dei testimoni. Una linea di attacco che sottende ad un ragionamento molto cinico che si nasconde dietro il mantra della “difesa dei confini nazionali” e del contrasto dell’immigrazione clandestina: favorire le intercettazioni da parte della sedicente guardia costiera “libica” e lasciare morire le persone in acque internazionali se gli Stati non rispondono alle richieste di coordinamento inoltrate dalle navi umanitarie in presenza di un evento di soccorso. Il coordinamento dei soccorsi da parte degli Stati responsabili di zone Sar contigue è invece un obbligo a carico delle autorità statali preposte, in base alle Convenzioni internazionali, come è scritto a chiare lettere nelle Convenzioni internazionali e nei documenti ufficiali della Guardia costiera italiana, non un onere che incombe sulle Ong. E l’assenza di soccorso in acque internazionali non si può tradurre nella delega dei respingimenti collettivi alla guardia costiera libica, notoriamente infiltrata dai trafficanti, soprattutto in caso di presenza, nella zona dei soccorsi, di assetti militari italiani ed europei (Eunavfor Med e Frontex).
Tutte le autorità di governo, in tutti i paesi delle due sponde del Mediterraneo, almeno dal 2017, stanno sistematicamente violando gli obblighi di soccorso in mare imposti dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare. Neppure la missione europea a guida italiana Eunavfor Med IRINI riesce a garantire effettivamente gli obblighi di soccorso che pure deriverebbero a suo carico, da quando è collegata all’agenzia FRONTEX, dal Regolamento europeo n.656/2014. Di fronte alla presenza in mare di decine di imbarcazioni contemporaneamente, facilmente tracciabili dai mezzi militari presenti in zona, manca qualsiasi coordinamento mirato alla salvaguardia della vita umana in mare ed allo sbarco dei naufraghi in un porto sicuro, nel quale possano fare valere anche una richiesta di asilo, come sarebbe imposto anche dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra. Diritto negato a centinaia di naufraghi, soccorsi nei pressi delle piattaforme petrolifere offshore in acque internazionali al largo del confine tra la Libia e la Tunisia, e riportati in questi paesi senza alcun rispetto per il loro diritto ad essere sbarcati in un porto sicuro nel quale potere chiedere asilo, come si è ripetuto in diverse occasioni. Di fatto queste prassi illegali hanno cancellato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e le correlate Direttive europee in materia di protezione internazionale e di rimpatri.
Il principio di non refoulement sancito dall’art.33 della Convenzione di Ginevra implica “no rejection at frontiers without access to fair and effective procedures for determining status and protection needs”. Come ha ribadito l’UNHCR ciò dovrebbe comportare in linea generale che la persona intercettata in acque internazionali abbia accesso alle procedure nello Stato che ha effettuato l’intercettazione, poiché questo di solito consente sia l’accesso alle strutture di accoglienza, sia eque ed efficienti procedure d’asilo, nel rispetto degli standard garantiti dal diritto internazionale. Secondo l’UNHCR, «il soccorso in mare è una tradizione secolare e un obbligo che non si esaurisce tirandole persone fuori dall’acqua. Un salvataggio può essere considerato completo una volta che i passeggeri hanno raggiunto la terraferma in un porto sicuro».
Come afferma l’UNHCR, nel determinare se gli obblighi di uno Stato sui diritti umani sussistono nei confronti di una determinata persona, il criterio decisivo non è se quella persona si trovi sul territorio nazionale di quello Stato, o all’interno di un territorio che sia de jure sotto il controllo sovrano dello Stato, quanto piuttosto se egli o ella sia o meno soggetto all’effettiva autorità di quello Stato. L’UNHCR nei suoi documenti chiede ” nuovi sforzi per limitare la perdita di vite in mare, tra cui il ritorno delle navi di ricerca e soccorso degli Stati Membri dell’UE. Le restrizioni legali e logistiche alle operazioni di ricerca e soccorso delle ONG, sia in mare che per via aerea, devono essere eliminate. Gli Stati costieri dovrebbero facilitare, non ostacolare, gli sforzi volontari per evitare le morti in mare”.