Secondo diverse fonti sarebbe in corso un’operazione di vendita di 24 caccia per 3 miliardi di euro.
Sarebbe imminente il via libera delle autorità italiane alla vendita all’Egitto, nel quadro di un consorzio di aziende militari europee, di 24 Eurofighter Typhoon del valore di tre miliardi di euro. Notizie che circolano da qualche giorno e che secondo Francesco Vignarca, responsabile campagne per la Rete pace e disarmo, “sono solo l’ultima di una serie di voci che si susseguono da almeno tre anni, da quando cioè l’Italia ha sostenuto la vendita di due fregate militari Fremm da Fincantieri al Cairo, addirittura togliendole alla Marina militare italiana a cui erano destinate”.
Vignarca: ignorati i casi di Regeni e Zaki
Il responsabile dell’organizzazione, che con Amnesty international ha lanciato la campagna Stop armi Egitto, all’agenzia Dire ricorda che una simile politica “non solo ignora i casi di Giulio Regeni e Patrick Zaki, ma mette a tacere le violazioni dei diritti umani di cui l’Egitto è accusato, rischiando anzi di sostenerle”. Ad attribuire l’indiscrezione a fonti di governo è stato qualche giorno fa Il Fatto quotidiano, e secondo Vignarca poggerebbe su basi concrete dal momento che martedì scorso a Piazza Affari il titolo della Leonardo è salito dell’1,83% in un momento in cui l’indice Ftse Mib – ossia il principale indicatore dell’andamento delle aziende sui mercati internazionali – scendeva dell’1,01%.
L’azienda Leonardo, che rappresenta l’Italia nel maxi-accordo del consorzio europeo di cui sono parte Regno Unito, Germania e Spagna, acquisirebbe il 60% della vendita. A ciò Milano Finanza aggiunge che il contratto comprenderebbe altri armamenti tra cui navi da guerra e un satellite militare, per un costo che potrebbe sfiorare i 12 miliardi di euro.
Inviare armi significa sostenere il regime
Già nel 2020, quando l’allora governo Conte autorizzò Fincantieri a vendere le fregate Fremm, e poi l’anno precedente, quando il presidente Abdel Fattah Al-Sisi sborsò 871 milioni per 32 elicotteri militari, “si vociferava che tutta questa operazione sarebbe stata propedeutica a un’altra operazione di circa 10 miliardi di euro” segnala Vignarca. Che continua: “Ancora una volta però si mettono a tacere tutte le situazioni problematiche del regime di Al-Sisi: non solo il caso di Giulio Regeni o dello studente di Bologna Patrick Zaki, che ha ottenuto grande risonanza in Italia, ma anche tutti gli atti di prevaricazione e le incarcerazioni degli oppositori politici da parte delle autorità del Cairo. Mandare armi ad Al-Sisi va contro ogni criterio sull’export di armi regolato sia dalle leggi nazionali che internazionali, come il Codice di condotta europeo e il Trattato sul commercio delle armi (Att) delle Nazioni Unite, ma soprattutto va contro ogni sensata iniziativa che i governi dovrebbero assumere verso Al-Sisi”.
Il presidente egiziano, salito al potere con un colpo di stato nel 2013 e accusato dalle associazioni per i diritti di aver incarcerato migliaia di persone, come conclude Vignarca “è al suo posto grazie ai militari, che sono implicati nella compravendita di armi, alimentando corruzione e clintelismo”. Fare affari col Cairo quindi, secondo il responsabile di Rete pace e disarmo, “significa sostenere direttamente un regime che opprime i cittadini”.