Da quasi quattro mesi viviamo con la quotidiana presentazione delle distruzioni e violenze della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. Oltre agli effetti immediati sui combattenti e le popolazioni coinvolte, mordono le implicazioni umanitarie ed economiche a lungo termine dovute al gran numero di profughi in situazioni precarie, ai contraccolpi sull’economia a livello regionale e globale, inclusi inaspettati problemi per le risorse alimentari.
Oltre alle città e alle strutture della vita sociale ucraina, questa guerra e il clima crescente di odio che si va diffondendo stanno minando le prospettive di ricostruire l’architettura di strumenti e di prassi operative per il controllo degli armamenti nucleari che ha contribuito a por fine alla guerra fredda e ha permesso una riduzione dell’80% degli armamenti nucleari rispetto alla loro massima espansione.
Seguendo la lezione di Thomas Schelling e Morton Halperin, il controllo degli armamenti include “tutte le forme di cooperazione militare tra potenziali nemici nel comune interesse di raggiungere tre obiettivi cruciali: evitare una guerra che nessuna parte vuole, minimizzare i costi politici ed economici della competizione negli armamenti e ridurre la portata e la violenza della guerra, qualora si verichi”. Le forme di cooperazione possono essere di vario livello, convenzioni, trattati, memorandum, iniziative unilaterali reciprocate, ma anche canali di comunicazione fra politici, militari o esperti, commissioni permanenti, norme di comportamento tacite o esplicite, misure di stabilizzazione. Gli Stati Uniti e l’URSS hanno capito fin dagli anni ’60 che la prevenzione della guerra nucleare, con la prospettiva di distruzioni inimmaginabili, non poteva basarsi sulla sola reciproca dissuasione mediante forze nucleari di reazione ma richiedeva appunto la creazione di una rete di forme cooperative di controllo degli armamenti.
La fine della guerra fredda è stata accompagnata da disinteresse nel controllo degli armamenti; altri temi divennero importanti per l’opinione pubblica, come il cambiamento climatico. La Russia sotto Vladimir Putin si rivolse a cambiare l’ordine post guerra fredda, violando i trattati che codificavano la perdita dell’impero sovietico e ribaltando decisioni prese dai suoi predecessori. Il partito repubblicano americano è diventato ostile al controllo degli armamenti: George W. Bush e Donald Trump hanno gettato a mare cruciali trattati in favore della libertà d’azione, rifiutando la parità con la Russia e non accettando la propria vulnerabilità, concetti strategici centrali per la stabilità nucleare.
Il processo di disfacimento del controllo degli armamenti si è andato accelerando insieme all’espansione NATO, soprattutto quando, nel 2007, la Russia ha intrapreso test di volo di un missile proibito dal Trattato sulle forze nucleari intermedie del 1987.
Altre potenze nucleari rivali non si sono rese disponibili a forme di controllo degli armamenti e la stessa solidità del regime di non proliferazione si è andata indebolendo. Canali di comunicazione si sono atrofizzati o mai aperti, e le crisi sono diventate più frequenti e più rischiose.
La nuova amministrazione democratica americana dal 2021 aveva ristabilito il ruolo del controllo degli armamenti nelle relazioni internazionali. Il rinnovo tra Stati Uniti e Russia dell’accordo NewSTART per cinque anni è stato uno sviluppo decisamente positivo, creando una finestra di opportunità per il dialogo ripristinato dopo il vertice Putin-Biden a Ginevra il 16 giugno 2021 su come mantenere la “stabilità nucleare” e “gettare le basi per future misure di controllo degli armamenti e di riduzione dei rischi”. Il dialogo USA-Russia sulla stabilità strategica (SSD) iniziò nel luglio successivo e nel secondo “positivo” incontro del 30 settembre vennero lanciati due gruppi di lavoro: “sui principi e gli obiettivi per il futuro controllo degli armamenti” e “sulle capacità e le azioni con effetti strategici”.
Altri punti che apparivano promettenti sono stati l’apertura di negoziati per il ripristino del JCPOA con l’Iran e l’impegno americano per trattative di stabilità strategica con la Cina.
A pochi giorni dall’invasione su vasta scala dell’Ucraina, il dialogo USA-Russia sulla stabilità strategica (SSD), il forum principale per discutere limiti agli arsenali nucleari, è stato sospeso, senza che i proposti gruppi di lavoro siano stati mai resi operativi, e il 6 giugno il portavoce del Cremlino Dmitry Pescov ha dichiarato improbabile la ripresa dei colloqui nel prossimo futuro. Dall’inizio dell’invasione russa vi è stato un unico contatto fra i ministri degli esteri russo e statunitense e anche i massimi responsabili militari dei due paesi si sono parlati una sola volta. Il primo marzo è stata creata una “deconfliction line” fra i due misteri della difesa, unicamente dedicata all’obiettivo minimale di “prevenire errori di calcolo, incidenti militari ed escalation del conflitto”.
Un segnale particolarmente preoccupante è l’apparente mancanza di contatti formali o informali fra esperti dei due paesi e polarizzazioni (senza precedenti storici) nelle stesse comunità scientifiche col rischio di interruzioni di collaborazioni pluriennali.
Un’ulteriore complicazione creata dalla guerra è la decisione di Biden di rimandare la definizione della Nuclear posture review americana che precisa il peso del controllo degli armamenti rispetto alle forze armate nella strategia nucleare globale del paese, per tener conto appunto degli sviluppi e implicazioni del conflitto in atto; è diffusa l’opinione che ciò comporterà una revisione delle bozze nella prospettiva di rafforzare il ruolo delle armi. Anche nella redazione dello Strategic Concept, che riguarda l’impostazione politica e militare della NATO, sembra stiano subendo notevoli riduzioni le prospettive di controllo degli armamenti.
I contatti Russia-NATO, già fortemente limitati dopo l’annessione russa della Crimea, hanno visto l’ultimo incontro del Consiglio NATO-Russia (NRC) il 12 gennaio 2022, dopo che la Russia aveva sospeso nell’ottobre 2021 il lavoro della sua missione diplomatica alla NATO e richiesto la chiusura della missione di collegamento militare della NATO a Mosca. Ricordiamo che il NRC, creato al summit di Roma del 28 maggio 2002, è un meccanismo per consultazioni, costruzione di consenso, cooperazione, decisioni e azioni congiunte, in cui i singoli stati membri della NATO e la Russia lavorano alla pari su un ampio spettro di questioni di sicurezza di interesse comune.
Altri fori sono stati chiusi a seguito dell’invasione dell’Ucraina; per esempio, il 3 marzo, Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e gli Stati Uniti hanno sospeso a tempo indeterminato la loro partecipazione al Consiglio artico, di cui sono fondatori assieme alla Federazione Russa.
Le sanzioni contro la Russia hanno avuto impatto anche sui negoziati per ricostituire l’accordo JCPOA con l’Iran, fermi da marzo e la finestra di opportunità per l’accordo rischia la chiusura; naturalmente le difficoltà maggiori sono dovute al continuo accrescimento delle scorte iraniane di uranio arricchito e l’inadempienza delle previste forme di controllo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA).
Precedenti storici
Ricordiamo che durante la Guerra fredda Russia e Stati Uniti avevano recepito così chiaramente il fatto che le armi nucleari sono “a parte” rispetto agli altri strumenti bellici, che negoziati bilaterali e multilaterali sul controllo degli armamenti hanno perseverato e persino raggiunto importanti risultati nonostante atti di aggressione militare compiuti dalle superpotenze. Di fatto l’attività militare di URSS-Russia e USA è stata così intensa e continua che quasi tutti gli accordi di limitazione degli armamenti sono stati firmati mentre le armi continuavano a infierire.
Durante la guerra in Vietnam (1961-75) (cui anche l’URSS ha partecipato con la fornitura di materiali e armi e alcune migliaia di “consiglieri” militari al Nord-Vietnam e ai vietcong) sono stati ottenuti alcuni dei fondamentali strumenti per il controllo degli armamenti, alcuni dei quali ancora in vigore: l’Hot line agreement (1963), il Test ban treaty (1963), l’Outer space treaty (1967), il trattato di Tlatelolco (1967), il Trattato di non-proliferazione (1968), il Seabed treaty (1971), l’Agreement on the prevention of nuclear war (1971), la convenzione sulle armi biologiche (1971), il trattato ABM (1972), l’Interim agreement on offensive forces (1972), Il Treshold nuclear ban treaty (1974) e l’Helsinki final act (1974).
Durante le guerre in Africa dell’URSS (Angola 1977-91; Ogaden 1977-78) è stato negoziato il Trattato contro le modifiche ambientali (1977).
Durante la guerra dell’URSS in Afghanistan (1979 -89) e degli USA in Libano (1982-84) e Iran (1987-88) si sono raggiunti nuovi importantissimi accordi: il SALT II (1979), la Convenzione per la protezione fisica dei materiali nucleari (1980), l’Hot line modernization agreement (1984), la creazione di Nuclear risk reduction centers (1987) e il Trattato sulle forze nucleari intermedie (1987).
Nella Guerra del golfo (1990-91) si è avuto il Trattato sulle forze convenzionali in Europa (1990) e lo START I (1991).
La partecipazione della Russia nelle guerre civili in Georgia (1991-93), Abkhazia (1992-93) e in Tajikistan (1992-97) e nella prima guerra in Cecenia (1994-96), nonché degli USA nelle guerre nell’ex-Yugoslavia (Bosnia e Croazia 1995 e Kosovo 1998) non hanno impedito il raggiungimento del Trattato open skies (1992), dello START II (1993), della Convenzione sulle armi chimiche (1993), dell’Agreed framework con la Corea del nord (1994) e la definizione del Comprehensive test ban treaty (1996).
Infine, durante le guerre degli USA in Afghanistan (2001-21), e Iraq (2003-11), si sono raggiunti i trattati New START (2010) e Arms trade treaty (2013) e il JCPOA con l’Iran (2015).
Le prospettive attuali
Le lezioni apprese nei negoziati svolti durante le precedenti guerre non possono essere trasposte facilmente nella complessa crisi attuale, interconnessa con ulteriori elementi politici, militari ed economici, e che mette in gioco una revisione completa dell’architettura di sicurezza europea e, forse, dei rapporti di forza a livello globale.
La situazione ai fini della ripresa di contatti per il controllo degli armamenti nucleari è complicata dalla violazione da parte russa della stessa Carta dell’ONU, del Memorandum di Budapest (1994) e del diritto umanitario internazionale (come documentato anche da Amnesty International), oltre a dichiarazioni e azioni dei massimi esponenti che sono state recepite come minacce nucleari; fatti questi che creano diffidenza sulla stessa affidabilità dei negoziatori russi.
D’altra parte, il diffuso atteggiamento in vari paesi della NATO di mirare all’indebolimento militare ed economico della Russia mediante il proseguimento della guerra rafforza la percezione russa di mire aggressive da parte della NATO. La retorica bellica estremamente aggressiva di entrambe le parti accresce le difficoltà oggettive a ricostruire una minima base di reciproca fiducia necessaria per dialoghi costruttivi sulla sicurezza strategica.
Queste complicazioni specifiche della situazione attuale si aggiungono alle difficoltà che sono andate montando in oltre un decennio di peggioramento delle relazioni strategiche fra le grandi potenze, con gli intensi programmi di modernizzazione delle armi nucleari, lo sviluppo di nuove tecnologie destabilizzanti, il complesso confronto nucleare nel contesto asiatico e i nuovi rischi di proliferazione.
L’obiettivo più grave e urgente delle iniziative diplomatiche è senz’altro il raggiungimento di un cessate il fuoco e un componimento, sia pure provvisorio, del conflitto ucraino-russo, ma al contempo occorre al più presto riannodare le fila per la riduzione del confronto nucleare della Russia con gli Stati Uniti e la NATO mediante misure di controllo degli armamenti, prima che la sicurezza dei paesi sia perseguita mediante il solo rafforzamento delle capacità militari deterrenti.
Misure di controllo delle armi potrebbero essere utilizzate per raggiungere un compromesso a breve termine, mantenere alcuni controlli sugli arsenali nuclearei a medio termine, o ridurre i rischi nucleari che questa guerra sta amplificando a lungo termine e a livello globale.
Prima dell’interruzione dei colloqui SSD, le priorità americane erano focalizzate sulla limitazione di nuovi tipi di vettori strategici e sull’integrazione in un qualche tipo di accordo delle testate non strategiche, armi nucleari “tattiche” sviluppate per l’impiego sul campo di battaglia. La Russia mantiene un ampio e vario arsenale di tali armi (si stimano circa 2000 testate contro 200 degli USA) e la loro esistenza costituisce da tempo un problema nei negoziati nucleari USA-Russia.
Le priorità russe erano invece centrate sulle difese missilistiche, le armi strategiche non nucleari ad alta precisione e le capacità spaziali. La Russia puntava a un “nuovo approccio all’equazione di sicurezza”, che dovrebbe includere tutte le armi, sia offensive che difensive, che incidono sulla stabilità strategica.
Nelle bozze di trattati inviati agli Stati Uniti e alla NATO il 15 dicembre 2021 per “garanzie di sicurezza” sulla base dei “principi di una sicurezza indivisibile, uguale e non riducibile”, la Russia ha formulato condizioni che impediscono, fra l’altro, la presenza di forze nucleari dei paesi della NATO sul suolo e negli spazi aerei e navali europei, senza reali contropartite da parte russa. Il 26 gennaio gli Stati Uniti e la NATO hanno formulato controproposte precisando “aree di impegno per rafforzare la sicurezza”, e il 2 febbraio il ministro degli esteri russo in lettere ai colleghi dei paesi della NATO ha messo in evidenza “le serie differenze nella comprensione dei principi di uguale e indivisibile sicurezza alla base dell’intera architettura della sicurezza europea”, invitando comunque a una chiarificazione.
Chiaramente l’aggressione russa all’Ucraina ha interrotto la discussione sulle proposte e controproposte. Tuttavia sono ancora aperti i fori naturali dove affrontare le cruciali problematiche della sicurezza nucleare: il dialogo USA-Russia sulla stabilità strategica e il Consiglio NATO-Russia, nonché l’Organizzazione per la sicurezza e collaborazione in Europa (OSCE) per gli armamenti convenzionali, ed è assolutamente necessario che vengano immediatamente riattivati. Inizialmente si potrebbe puntare a contatti preliminari di esperti civili e militari, finalizzati a chiarire i termini delle questioni, cercare misure per la riduzione del rischio nucleare e saldare canali di comunicazione in vista dei lavori a livello diplomatico e, infine, politico.
La guerra in Ucraina ci sta ricordando quanto terribili siano le armi “convenzionali” e crudele una guerra “tradizionale”, e laboriosa e pesante la ricostruzione post-bellica di un paese, ma quello che sappiamo e stiamo imparando a conoscere sugli effetti di un conflitto nucleare, anche “limitato” (http://ilbolive.unipd.it/it/blog-page/dal-kashmir-terrore-impatto-climatico-limitata), è assolutamente incommensurabile con ogni esperienza precedente con conseguenze globali per lunghi tempi rendendo vana ogni prospettiva di “ricostruzione”.
Il rischio nucleare è andato crescendo e assumendo nuovi preoccupanti aspetti in questi ultimi anni, per cui le massime potenze nucleari, quali possessori della gran parte delle armi nucleari, hanno l’obbligo di attivare concreti negoziati e iniziative per il controllo dei loro armamenti e il rafforzamento della stabilità strategica, in primis per la salvaguardia delle proprie popolazioni e quale dovere morale verso il mondo intero.