La crisi idrica rischia di mettere in ginocchio l’intero Paese. Eppure, mentre l’acqua scarseggia qualcuno grazie all’acqua “festeggia” come al solito. Mentre cioè si intensifica l’allarme per la siccità e le riserve idriche scarse, le estrazioni per fini alimentari continuano a ritmo serrato, grazie alla passione degli italiani per le acque imbottigliate. 9 italiani su 10 bevono acqua minerale, 8 su 10 ne bevono almeno mezzo litro al giorno.
L’Italia è il paese europeo dove si beve più acqua in bottiglia
Nell’Unione Europea, come certifica il Censis, l’Italia ha il primato del consumo che continua a crescere, senza battute d’arresto nemmeno in questi anni di crisi pandemica. L’Istat nel dossier diffuso in occasione dell’ultima Giornata mondiale dell’acqua istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 e celebrata ogni anno il 22 marzo, ha rilevato che l’estrazione di acqua per la produzione di bottiglie continua ad aumentare. In Italia, secondo gli ultimi dati disponibili, sono oltre 19 milioni i metri cubi prelevati con un incremento del 17,6% rispetto al 2015 e del 9,3% anno su anno (+1,6 milioni di metri cubi estratti). La metà si concentra al nord con quasi 10,3 milioni di metri cubi (di cui 7,4 estratti nel Nord-ovest), il 54,3% del totale nazionale. Il record è in Lombardia con 3,8 milioni: https://www.istat.it/it/files/2022/03/REPORTACQUA2022.pdf.
Conseguenze sull’ambiente
Produrre e consumare acqua in bottiglia inquina l’ambiente e danneggia ecosistemi con conseguenze peggiori sulla nostra salute di quelli che potremmo avere dal bere acqua del rubinetto, che nella stragrande maggioranza dei casi, se trattata adeguatamente, è buona. Consumare oltremodo acque minerali va ad incidere significativamente sulle nostre tasche per la gioia e la fortuna di quei pochi soggetti privati che hanno in gestione un bene pubblico, che lo Stato improvvidamente cede senza essere neppure in grado (come per altro succede in tanti altri ambiti, a partire per esempio dalle spiagge) di farlo adeguatamente fruttare. Il business delle acque in bottiglie, nel mentre assesta un durissimo colpo all’ambiente e ai bilanci familiari, garantisce infatti enormi profitti ai privati, i quali continuano a lasciare nelle casse regionali somme irrisorie. Per lo sfruttamento delle sorgenti, le società -anche multinazionali- versano pochissimo, come confermato dai dati sul 2020 di Altreconomia: https://altreconomia.it/acque-minerali-un-valore-per-pochi-inchiesta-sui-canoni-delle-aziende/.
Enormi profitti ai privati, versamenti irrisori alle Regioni
Le aziende pagano cifre irrisorie, che oscillano attorno a 1-1,5 € per metro cubo. E di € a metro cubo ne guadagnano invece ben 200. Stiamo parlando di risultati economici importantissimi: Mediobanca evidenzia come tra il 2017 e il 2019 il settore abbia accumulato utili per 806 milioni di € “pari in media al 7,3% del fatturato”. Mentre per il 2019 il giro d’affari totale stimato dai produttori è di 2,9 miliardi di €, a fronte dei quali le aziende lasciano circa 20 milioni di € nelle casse delle Regioni per acquisire il diritto a imbottigliare le ottime acque italiane e venderle in tutto il mondo. Stiamo parlando di un mercato concentrato nelle mani di pochi che pagano canoni di concessione irrisori a fronte di utili stratosferici derivanti dallo sfruttamento di una risorsa non infinita e che appartiene a tutti noi, senza contare il peso ambientale dei milioni di bottiglie in gran parte di plastica che il consumo “lascia per strada”. E non di rado si tratta di concessioni che si basano sul criterio della superficie concessa e non sulla quantità di acqua effettivamente captata. Il suo quantitativo spesso non viene neanche comunicato alle Regioni, che nella migliore delle ipotesi si accontentano di controlli a campione. In molti casi, dunque, non si riesce neppure a conoscere con precisione quanta acqua venga estratta e imbottigliata.
Misure da prendere per porre fine allo scandalo
Risulta oltremodo intollerabile che in periodi di siccità, di restrizioni e privazioni, qualcuno continui a fare enormi profitti proprio sull’acqua. Negli ultimi anni qualcosa sembra finalmente muoversi, almeno in qualche Regione, ma è ancora troppo poco per poter dire che si è posto fine allo scandalo. Portare per esempio in tutte le Regioni i canoni a 20 € al metro cubo, ovvero a 2 centesimi al litro, permetterebbe di avere più risorse (dai circa 20 milioni di € attuali a 3 miliardi di €), da investire semmai nel miglioramento e nell’efficientamento della rete dell’acqua potabile pubblica, un vero e certificato “colabrodo”. Al pari di tutti gli altri beni pubblici, anche per l’acqua occorrerebbe puntare senza indugi su una gestione pubblica e partecipata in grado di considerare tutte le risorse idriche. Nell’immediato, per porre un argine a questa anomalia, occorre trovare almeno il modo di rivedere i contratti in essere, stipulati spesso con trattative private e quindi poco trasparenti. In questo modo si potrebbe portare nelle casse pubbliche cifre ben più significative delle attuali da reinvestire in servizi utili ai cittadini e ridurre sensibilmente la durata delle concessioni, prevedendo un aggiornamento ravvicinato del canone per un maggior controllo del settore e anche la revoca della concessione se vengono accertati problemi qualitativi o carenza della risorsa.
In tempi di crisi climatica e siccità non possiamo permetterci sprechi, né possiamo tollerare rischi per la salute dei cittadini e tutti i prelievi d’acqua, compreso quelli di acque minerali, dovranno essere tenuti sotto controllo. Ma occorre anche aprire un canale di dialogo con i cittadini in grado di assicurare un sempre più attento consumo di acqua, di rassicurarli sulla bontà dell’acqua del rubinetto e di disincentivare il consumo dell’acqua in bottiglia.