Sabato 27 agosto, l’Alto Rappresentante degli Affari esteri dell’Unione europea, Josep Borrell, ha annunciato il raggiungimento di un accordo con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, per l’abolizione dei documenti di ingresso/uscita tra i due paesi per i rispettivi cittadini. Si è concluso così con una notizia positiva un mese carico di tensioni, iniziato con le barricate erette dai serbi nei pressi dei valichi di Jarinje e Brnjak nel nord del Kosovo per via dell’introduzione da parte del governo kosovaro di misure relative ai documenti d’identità e alle targhe emesse dalla Serbia ancora recanti i nomi delle municipalità kosovare. Se per la prima misura si è finalmente trovato un accordo, per la seconda, che entra in vigore dal primo settembre, si proverà a trovare una soluzione che ad oggi appare di difficile raggiungimento.
Documenti e targhe, le misure della discordia
Lo scorso 29 giugno, il governo del Kosovo ha deciso di introdurre, a partire dal primo agosto, il rilascio di documenti provvisori per coloro che, entrando nel paese dal confine con la Serbia, avvessero mostrato documenti d’identità serbi. Fino ad oggi, nonostante il raggiungimento nel 2011 di un accordo sulla libertà di circolazione tra Belgrado e Pristina all’interno del dialogo mediato dall’UE , mentre i cittadini serbi hanno continuato ad entrare in Kosovo con i documenti emessi dalla Serbia, quelli kosovari erano costretti, per entrare in Serbia, a ricevere un documento di ingresso/uscita, non essendo i documenti kosovari riconosciuti da Belgrado.
La seconda misura introdotta dal governo di Kurti è stata quella di iniziare la ri-registrazione dei vecoli muniti di targhe rilasciate dalle autorità serbe e recanti le sigle delle municipalità kosovare, sostituendo quest’ultime, senza costi amministrativi, con targhe kosovare recanti la sigla “RKS” (Repubblica del Kosovo). Occorre sottolineare che la misura non riguarda le targhe serbe di città della Serbia, che entrano in Kosovo con il sistema degli stickers, adesivi volti a coprire i simboli nazionali nelle targhe di entrambi i paesi, ma solamente quelle recanti i nomi delle città del Kosovo (PR per Pristina, KM per Mitrovica e altre), oggi utilizzate da un gruppo ristretto di serbi che vivono nel nord del Kosovo.
Kurti ha motivato l’introduzione di tali misure sulla base del principio di reciprocità, eretto da lui e dal suo esecutivo come elemento fondamentale nel disciplinare i rapporti con Belgrado.
Le barricate e il caos mediatico
Le misure introdotte dal governo kosovaro hanno causato sin da subito l’ira di Vučić, che ha accusato Pristina – senza alcuna prova – di pianificare “un attacco generale al nord del Kosovo, al più tardi entro il primo ottobre” e di voler “fare una nuova Tempesta”, con un chiaro rimando all’operazione Oluja attuata dall’esercito croato nella Krajina nel 1995. Parole durissime che hanno contribuito ad alimentare le preoccupazioni, in particolare all’interno della comunità serba del nord del paese. Il 31 luglio, sono state erette barricate presso i valichi di confine di Brnjak e Jarinje come segno di protesta per l’imminente messa in atto delle nuove misure, portando alla chiusura della frontiera in entrambi i punti da parte della polizia locale. Uno scenario di tensione che sembrava ricalcare quello dell’anno passato in occasione della prima misura sulle targhe e che è stato ulteriormente alimentato dal diffondersi sui sociali di una miriade di immagini di dubbia provenienza e notizie false su quello che stava succedendo nel nord del Kosovo.
L’intervento di vari attori internazionali volto a calmare le acque, tra cui l’ambasciatore americano a Pristina, ha portato il governo kosovaro alla decisione di sospendere la distribuzione dei documenti provvisori, che nel frattempo era già stata avviata, e la procedura di sostituzione delle targhe fino al 1 settembre, se le barricate fossero state rimosse. Nel frattempo il ministro dell’Interno del Kosovo, Xhelal Sveçla, aveva dichiarato che 11 persone erano rimaste ferite e alcuni veicoli della polizia erano stati danneggiati, chiarendo però come le dinamiche di tali incidenti fossero ancora da verificare e che non fosse scoppiato alcun tipo conflitto armato. Cosa che era stata confermata anche dalla missione della NATO in Kosovo, KFOR, che si era dichiarata “pronta a intervenire” in caso di necessità, disponendo alcune truppe vicino ai valichi di frontiera.
I negoziati e l’accordo
Sebbene la situazione nel nord del Kosovo è tornata presto alla calma, la retorica dei due leader è rimasta incendiaria, con Vučić che ha chiesto ai cittadini serbi di non cadere “preda di provocazioni” e, riferendosi a Pristina, ha minacciato che “se oseranno inizare a perseguitare i serbi, uccidendo i serbi, la Serbia vincerà”. D’altra parte Kurti, in un’intervista rilasciata a Repubblica, ha affermato che il rischio di un nuovo conflitto rimane relativamente alto e che le proteste contro le misure da lui attuate non sono state spontanee ma organizzate da Belgrado col sostegno della Russia di Putin. Le parole di entrambi i leader non sono piaciute all’Unione europea, che in una dichiarazione ha riversato su di loro la responsabilità di un’eventuale escalation e ha chiesto di risolvere le questioni aperte attraverso il dialogo.
L’obiettivo di riportare le questioni delle targhe e dei documenti nell’ambito dei negoziati e l’avvicinarsi della loro data d’attuazione del primo settembre hanno portato, seppur tra lo scetticismo generale, ad un’intensa attività diplomatica dei rappresentanti di UE e Stati Uniti volta a trovare una soluzione. Il 17 agosto, Kurti e Vučić hanno incontrato il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, mentre il giorno successivo si è tenuta a Bruxelles l’attesa riunione ad alto livello del dialogo Belgrado-Pristina tra i due leader e Borrell. Nonostante l’incontro, al quale ha partecipato anche il Rappresentante speciale dell’UE per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, non sia riuscito a produrre alcun rilevante progresso, Borrell ha affermato di non volersi arrendare e che la discussione con entrambi i leader sarebbe ripresa nei giorni successivi. Cosa che è effettivamente successa, seppur tra le minacce di Vučić di abbandono delle istituzioni del Kosovo da parte dei rappresentanti della minoranza serba e il rifiuto di Kurti alla proposta di Belgrado di sostituire le targhe con quelle del periodo dell’amministrazione dell’UNMIK, le quali sono prive di riferimenti alla statualità del Kosovo.
Tra il 23 e il 25 agosto, Lajčák e l’inviato speciale statunitense per i Balcani occidentali, Gabriel Escobar, si sono recati congiuntamente prima a Pristina e poi a Belgrado. In seguito agli incontri, sia Escobar che Lajčák hanno affermato di essere soddisfatti delle discussioni avute e di ritenersi fiduciosi di poter raggiungere un compromesso. E così è stato: il 27 agosto, Borrell ha annunciato con un tweet il raggiungimento dell’accordo. Esso prevede l’abolizione dei documenti di entrata e di uscita in entrambe le direzioni del confine tra Kosovo e Serbia sia per i cittadini con documenti kosovari che per quelli con documenti serbi. Per la questione delle targhe, invece, se ne riparlerà in queste settimane, con la misura che entrerà comunque in vigore ad inizio settembre, ma con due mesi di tempo per la sua attuazione.
Vittoria di Kurti, ma le questioni sono ancora tante
L’accordo raggiunto è sicuramente una vittoria diplomatica di Kurti. Come da lui stesso affermato, l’accordo riflette chiaramente il suo principio cardine di reciprocità nei rapporti con la Serbia, con i cittadini kosovari che vedranno riconosciuti per la prima volta i loro documenti d’identità dalle autorità serbe. Non si tratta, tuttavia, di un riconoscimento dell’indipendenza di Pristina: infatti, anche altri paesi che non riconoscono la statualità del Kosovo permettono ai cittadini kosovari di viaggiare coi loro documenti. Lo stesso Vučić si è premurato di mettere questa cosa in chiaro, sottolineando come si tratti solamente di un accordo verbale che non implica il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo. Nella mattinata del 31 agosto, alcuni cartelli sono stati affissi ai valichi di frontiera, recanti un disclaimer volto proprio a chiarire questo punto.
Nonostante si tratti di un accordo parziale e non scritto, rimane comunque uno sviluppo positivo nel dialogo tra Kosovo e Serbia, che nei prossimi mesi si troverà a dover discutere tre importanti e delicate questioni: le targhe; l’Associazione/Comunità delle municipalità serbe del nord; la questione dell’energia elettrica. Tuttavia, per l’accordo legalmente vincolante e onnicomprensivo voluto da Kurti, siamo ancora molto lontani.