Il 28 settembre 2022 anche a Palermo, come titola il sito di Non Una Di Meno, “furiosɘ risale la marea per l’aborto libero sicuro e gratuito” con cortei e mobilitazioni in tutta Italia. “Lottare per la libertà di abortire significa per noi” continuano le compagne “poter scegliere sui nostri corpi e sulle nostre vite, e contro tutte le condizioni che ce lo impediscono. Gli attacchi diretti e le restrizioni all’aborto sono attacchi diretti a donne, persone con capacità gestante, persone migranti e senza reddito. Lo sappiamo che la violenza è più brutale sui corpi di chi vive in una regione in cui il tasso di obiezione è altissimo e non ha un reddito per spostarsi, sui corpi di chi ha un’identità di genere non conforme e sui corpi di chi scappa dalla guerra.” Manifestazioni si sono svolte in più di venti città d’Italia, ispirate dal Manifesto per un’insurrezione transfemminista, che recita tra l’altro: “siamo la rabbia della rivoluzione femminista e vogliamo mostrare i denti: uscire dagli uffici del ‘genere’ e delle politiche corrette e che il nostro desiderio ci guidi, sempre politicamente scorrette, sempre disturbando, ripensando e risignificando le nostre mutazioni”.
In realtà, nonostante l’irruenza dei toni, tutte le manifestazioni sono state prive di violenza, ma fortissime nel contrasto al capitalismo sessista e razzista. A Palermo lo slogan è stato “Giù le mani dal diritto di aborto!”, ma inevitabilmente, come altrove, la contestazione si è rivolta anche contro la premier in pectore e i suoi alleati. Nel comunicato delle lavoratrici precarie in lotta MFPR (operatrici nel settore della medicina riabilitativa) si legge: “La nostra libertà di scelta non si tocca”. E ancora: “un corteo combattivo e determinato si è concluso dinanzi al palazzo della Regione a tre giorni dalle elezioni nazionali e regionali… Una prima risposta di lotta che deve vedere noi donne in prima linea a combattere contro l’onda nera che dagli USA alla Polonia si vuole estendere anche in Italia con la destra fascio-sessista della Meloni e di Fratelli d’Italia.”
Lo striscione di apertura del corteo recava proprio questa scritta: “Il diritto all’aborto non si tocca. La libertà di scelta delle donne non si tocca. Contro l’onda nera dagli USA-Polonia all’Italia-Destra/Meloni la nostra ribellione e lotta. Un altro cartellone diceva. “Al fianco delle donne iraniane in lotta. Dall’Iran all’India alla Turchia, Stati fasci e sessisti, vi spazzeremo via.” E ancora: “Fuori gli obiettori dai consultori”. Le parole d’ordine di Non Una Di Meno: “Contraccezione per non abortire. Aborto sicuro per decidere”.
È stato un corteo molto partecipato, colorato, rabbioso e sorridente insieme, che ha visto incontrarsi donne di diverse generazioni, femministe divenute consapevoli a partire dal ’68 (“gli angeli del ciclostile”, come si erano autodefinite in polemica con i leader del movimento studentesco, tutti rigorosamente maschi) e studentesse di oggi, altrettanto lucide e determinate.
Il comunicato delle precarie MFPR continua: “Non sono mancati momenti di contrasto con alcune donne in merito allo striscione e volantino ‘la Meloni è una donna e voi la attaccate?’, a cui le lavoratrici hanno prontamente ribadito che non è il genere che ci può unire ma la classe di cui si è parte. La Meloni/FdI rappresenta la parte più nera della borghesia al potere che sfrutterà e opprimerà ancora di più lavoratori, precari e in particolare la maggioranza delle donne”.
Riesce utile, per approfondire questa interpretazione, utilizzare il paradigma della intersezionalità, proposto dal transfemminismo, in cui Non Una Di Meno si riconosce, e mutuato dalla filosofa statunitense, allieva di Marcuse, Angela Davis: le forme di oppressione nella società – come razzismo, sessismo, abilismo (disprezzo dei portatori di handicap), omo-transfobia, xenofobia (e mi piace aggiungere anche lo specismo, lo sfruttamento degli animali) come tutti i pregiudizi basati su l’intolleranza – sono teorie e pratiche di esclusione interconnesse, dalle quali si genera per intersezione l’esclusione. Occorre, dunque, superare la logica binaria di buono/cattivo, uomo/donna, bianco/nero e aprirsi al riconoscimento di un’identità fluida e mutevole, risultato di molteplici esperienze e incontri; accettare che ciascunɘ sia uno, nessuno e centomila, e così sostituire all’oppressione e allo sfruttamento il dialogo.
Concludiamo con la chiusa del documento citato: “Non ci fermate! La nostra doppia lotta [di donne e di proletarie, ndr] non può che continuare…”
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