L’orizzonte, per gli italiani “senza cittadinanza”, è sempre quello della “battaglia”: a prescindere dai risultati delle urne, infatti, “è un fatto che nessun partito, neanche il Partito democratico che ha governato il Paese negli ultimi dieci anni, praticamente, abbia portato a termine una riforma della legge di cittadinanza”. Da definire, ora che che il voto ha aperto le porte a un governo di destra trainato da Fratelli d’Italia, “saranno strategie e modalità”. Così all’agenzia Dire Kwanza Musi Dos Santos, attivista della campagna per la riforma della cittadinanza Dalla parte giusta della storia.
La scorsa settimana gli animatori di questa iniziativa hanno promosso “Il mio voto vale”, una piattaforma sia online che in presenza con banchetti in cinque grandi città italiane che ha dato la possibilità di esprimere un voto simbolico a due categorie di persone di fatto escluse dalle elezioni politiche che si sono disputate ieri: i cittadini nati e cresciuti in Italia che ancora non hanno la cittadinanza perché nati da genitori stranieri, e poi i fuorisede, le persone cioè che vivono lontane dal loro comune di residenza per motivi di studio.
Numerose organizzazioni hanno lamentato il mancato accesso al diritto al voto di questi ultimi, visto che il governo non ha preso alcuna misura specifica per permetterne il trasferimento nel comune di residenza per votare, spesso proibitivo a causa di prezzi dei trasporti e questioni logistiche-organizzative.
“I risultati dell’iniziativa li abbiamo annunciati ieri in diretta sui nostri social insieme alla giornalista Sabika Shah Povia e alla consigliera del Comune di Parma Victoria Oluboyo: a ottenere pià voti è stata la coalizione di Sinistra italiana e Verdi, seguita dal Partito democratico e da +Europa”, spiega Dos Santos. “Non sono mancati i voti a favore di Lega e Fratelli d’Italia, che complessivamente però non hanno raggiunto il dieci per cento”.
Secondo l’attivista, madre italiana e padre brasiliano, una laurea in Relazioni internazionali a Roma Tre e un Master in Management of Cultural Diversity ottenuto presso la Tilburg University, “lo scenario emerso alle politiche sarebbe stato sicuramente diverso se queste categorie di persone escluse avessero avuto la possibilità di partecipare”. A testimoniarlo ulteriormente, il dato sull’astensione, che con quasi il 37 per cento è stata la più alta di sempre. Regioni fanalino nell’affluenza quelle del sud. “Non è un caso che siano proprio le aree di provenienza della maggior parte dei fuorisede”, osserva Dos Santos.
L’attivista viene sollecitata sulle prospettive della campagna per la riforma della cittadinanza con il nuovo governo, che deve essere ancora costituito ma che dovrebbe riflettere gli equilibri emersi dai seggi: centro-destra avanti con quasi il 44 per cento dei voti, circa il 27 per cento di questi ottenuti da Fdi. Il Pd si è fermato al 19 per cento, che diventano 25 in coalizione, mentre il Movimento 5 Stelle ha raggiunto il 15,5 per cento delle preferenze.
“Ci aspetta un futuro di battaglie”, scandisce Dos Santos. “Il punto è questa prospettiva è in linea con quanto avvenuto finora, niente di nuovo: abbiamo sempre dovuto lottare per ottenere una riforma di cittadinanza e lo abbiamo fatto anche con il Pd al governo. Ora dobbiamo solo ridefinire modalità e campi di azione”.
Il punto di vista dell’attivista riemerge con forza dal posizionamento sui programmi elettorali pubblicato prima del voto dalla Rete per la riforma della cittadinanza. “Anche le proposte dei partiti di sinistra sono a dir poco timide- denuncia Dos Santos- ed è strano, visto che fino a pochi mesi fa in cantiere alla Camera c’era la legge sul cosiddetto ‘ius scholae'”. Con questa formula si intende una misura che conferirebbe la possibilità di richiedere la cittadinanza ai minori stranieri che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni, quando adesso quest’ultima può essere richiesta solo dopo il compimento dei 18 anni di età e l’adempimento di una serie di altre richieste, fra le quali dieci anni di residenza regolare continua nel nostro Paese.
Dos Santos incalza: “Etichette, come lo ‘ius soli’, che nascondono l’esigenza reale: una riforma organica della legge sulla cittadinanza che coinvolga tutti gli istituti necessari e che tenga conto di tutte le fattispecie e i cavilli per la sua applicazione”.