Vittorio Agnoletto, medico, ex parlamentare europeo e soprattutto attivissimo in favore della tutela della salute, dei beni comuni, dell’impegno pacifista.
Il tema della pace è ora più che mai urgente, sia per la guerra russo-ucraina, sia per le tensioni internazionali sempre più pericolose. Immagino che per un medico come lei, che si occupa di salute, cioè di vita, questa situazione deve costituire un grave allarme.
Il pericolo riguarda anche il nostro ecosistema che le guerre e gli esperimenti nucleari aggravano. Un motivo in più perché gli ecopacifisti facciano sentire la loro voce di condanna.
La guerra, oltre che morti, feriti e distruzione, porta anche inquinamento disastri ambientali e malattie. Si ragiona poco sul fatto che l’uso di armi esplosive, per esempio nelle aree urbane, crea grandi quantità di detriti e di macerie che possono causare un inquinamento dell’aria e del suolo. L’inquinamento provocato dalle guerre può provocare tanti e tanti problemi, per esempio, dal punto di vista ambientale, anche nelle falde acquifere: sono i cosiddetti danni collaterali della guerra, ma come impatto sono tutt’altro che collaterali.
E poi non dimentichiamoci che le emissioni di CO2 di alcuni grandi eserciti possono addirittura essere maggiori di quelle emesse da intere nazioni.
Esiste una ricerca della Lancaster University che dimostra quanto l’esercito degli Stati Uniti sia uno dei maggiori inquinatori. È l’istituzione che consuma più petrolio ed è uno dei principali emettitori di gas serra. L’ esercito statunitense se fosse una nazione si collocherebbe tra il Perù e il Portogallo nella classifica globale degli acquisti di carburante. Si può fare anche un esempio purtroppo molto attuale: un F35 per percorrere 100 km consuma circa 400 litri di carburante che corrispondono all’emissione di 27.800 kg di Co2.
L’aviazione tra le varie armi è quella che detiene la percentuale più alta di emissione all’interno del sistema di difesa USA.
È necessario non dimenticare le malattie, le ricadute sull’ambiente e l’inquinamento ambientale che possono derivare da un conflitto. Rifacciamoci a un’esperienza storica che purtroppo conosciamo e della quale abbiamo parlato tante volte: le conseguenze della guerra in Iraq sono state, dal punto di vista sanitario, tremende. Pensiamo ai tumori, ai bambini nati deformi e a tante altre gravi condizioni di salute degli abitanti di quella regione, tutto questo non viene considerato.
Va inoltre valutato anche un altro aspetto. I danni provocati dalla guerra sono anche collegati ad altri disastri sociali: pensiamo per esempio al fatto che intere popolazioni, migliaia, talvolta decine o centinaia di migliaia di persone sono obbligate ad abbandonare le loro case e finiscono nei campi per rifugiati, nei quali vivono una condizione molte volte ai limiti della dignità umana: mancano i servizi essenziali, sussiste una scarsità d’acqua e non ci sono, oppure sono assolutamente insufficienti, i servizi igienici. Senza contare la gestione dei rifiuti di simili aggregati umani e l’impatto ambientale che ne deriva.
E quindi il risultato di una guerra – anche limitandosi ad osservare quello che accade nei territori coinvolti, senza analizzarne le conseguenze ad ampio raggio sull’economia globale – non si ferma “solo” ai morti e ai feriti ma è molto più ampio e devastante.
Gli scienziati continuano a mettere in guardia i governi e gli Stati e parlano di baratro nucleare. Secondo molte autorevoli personalità ci stiamo incamminando su una via di non ritorno. Che cosa possiamo fare?
Va precisato innanzitutto che non esiste un nucleare buono e un nucleare cattivo. È una tecnologia che prevede sempre un rischio. Un rischio che esiste, non eliminabile e che può avere delle conseguenze veramente pesantissime.
Noto in questi giorni una contraddizione pazzesca da parte dell’establishment, sui giornali principali, sui grandi media, nelle parole dei portatori del pensiero unico in Italia come in tutta Europa. Viene lanciato un grande allarme per quello che può avvenire nella centrale nucleare di Zaporizhia – teniamo conto che 6 dei 15 reattori presenti in Ucraina sono collocati all’interno di questa centrale – ma contemporaneamente, per rispondere alla crisi energetica, quegli stessi paesi, quegli stessi protagonisti del pensiero unico spingono, attraverso i media mainstream, per un ritorno al nucleare.
Questa è una contraddizione incredibile. Il ritornello di questi governi è: “Se il nucleare lo controlliamo noi, allora siamo sicuri. Incidenti non ci possono essere”. Proviamo, invece, a ipotizzare la possibilità che ci sia un incidente.
Ci ritroveremmo in una situazione di stress collettivo ben superiore a quella che stiamo vivendo ora in relazione a quello che può accadere nelle centrali nucleari dell’Ucraina. Che cosa si può fare? Innanzitutto, dobbiamo valorizzare ulteriormente il grande impatto che ha avuto la campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari Ican che ha vinto anche il premio Nobel per la Pace nel 2017. Uno dei primi obiettivi è far sì che l’Italia firmi il Trattato voluto da Ican, il TPAN, Trattato Proibizione armi nucleari. Di questo il mondo politico non parla, ma è un obiettivo assolutamente fondamentale.
Credo che i ragionamenti intorno alla guerra, in epoca nucleare, debbano modificarsi completamente.
E non è un caso che la stessa chiesa cattolica abbia modificato totalmente la propria dottrina sulla guerra rispetto alla “guerra giusta”; ritengo che dovrebbe diventare senso comune la famosa affermazione di Einstein: “Non so con quali armi sarà combattuta la terza guerra mondiale. Ma la quarta sarà combattuta con pietre e bastoni”.
In questi giorni ho letto il pamphlet dello scrittore disarmista Angelo Gaccione Scritti contro la guerra. Un discorso molto radicale e che considera tutti gli Stati armati – per la loro ricerca bellica, per gli ordigni di sterminio sempre più terribili di cui si dotano, e per la gigantesca spesa militare – responsabili di un sistema criminale ai danni degli esseri umani e della natura. Sostiene che in era nucleare è divenuta obsoleta qualsiasi tipo di difesa armata e che bisogna rinunciarvi. Se per difesa intendiamo la salvaguardia della vita e dei beni di una Nazione. Lei che ne pensa?
Gaccione sostiene che bisogna avviare il disarmo unilaterale senza contropartita, come ha fatto lo Stato del Costa Rica che nel libro è citato come esempio. Procedere allo scioglimento dell’esercito e riconvertire a scopi sociali la spesa militare. Per esempio, investendo nella sanità pubblica, nella strumentazione e nella ricerca. Suggerisce di spostare i militari delle tre armi nei settori della tutela del territorio, e molte altre idee preziose.
La riflessione dello scrittore Angelo Gaccione mi sembra estremamente importante e profonda. Il punto è che in questo momento siamo molto lontani dalla situazione auspicata. Nel 2020 sono stati spesi oltre 2000 miliardi di dollari per investimenti militari e vi ricorderete che alla COP26 è stato molto complicato lavorare attorno a un accordo per assicurare solo 100 miliardi per una transizione ecologica dei paesi del Sud del mondo. Si è in tal modo, resa evidente un’assenza di consapevolezza totale attorno a questo tema.
Consideriamo che nel pianeta, in questo momento, ci sono circa13.000 armi nucleari e consideriamo che noi siamo tra quei paesi che ospitano alcune decine di testate nucleari degli Usa. Credo che la garanzia di non utilizzare le bombe nucleari sia una garanzia che non ci può lasciare tranquilli. Perché quando due paesi sono in guerra, iniziano il conflitto con le armi convenzionali, ma se uno dei contendenti rischia di soccombere e ha a disposizione l’arma nucleare, è possibile e probabile che decida di farvi ricorso.
D’altra parte, abbiamo già visto come, nonostante tutte le convenzioni internazionali, le grandi potenze, a cominciare dagli Stati Uniti, non hanno mai avuto problemi a usare armi chimiche e gas tossici, che sono assolutamente vietati dalle convenzioni internazionali.
Mi ha molto colpito in questi giorni come l’appello chiaro e durissimo di Papa Francesco sia stato totalmente ignorato dai grandi media. Le prime pagine sono andate tutte al discorso di Draghi al meeting di Comunione e Liberazione. Delle parole di Francesco non c’era praticamente traccia, al massimo qualche trafiletto nelle pagine interne. È una cosa inedita. Prima di Francesco, qualunque cosa diceva un papa diventava l’apertura dei telegiornali, addirittura esagerando, ignorando la laicità prevista dalla nostra Costituzione. Ora siamo invece di fronte a una cancellazione e a una vera e propria rimozione e censura.
Sono rimasto anche colpito da come i giovani di CL, che in un’altra epoca e con altri Papi erano definiti i papaboys, hanno pressoché ignorato le parole di Francesco, anche se all’inizio della guerra, Comunione e Liberazione aveva fatto dichiarazioni orientate alla ricerca della pace. Ma questo è un papa scomodo perché non è disponibile a giustificare in nessun modo alcuna guerra e ha puntato il dito contro coloro che dalla guerra ricavano profitti.
Francesco ha reso evidente come la guerra sia il risultato di grandi interessi economici interessati al controllo delle fonti energetiche e della logistica e non siano invece causate, come viene sostenuto, dalla difesa di grandi valori e ideali. Inoltre, ci dovrebbe preoccupare molto che lo schema della guerra, la logica amico/nemico, sia ormai applicata a qualunque settore della società. È quanto è avvenuto, ad esempio, in occasione della pandemia.
In guerra si deve, tacere, obbedire e combattere. Non si può discutere, non si possono sollevare interrogativi. Questo rischia di essere il modello attorno al quale, oggi, viene costruita la nostra società.
In questa condizione, credo che sia importante riprendere quelle tematiche che, per parlare della mia esperienza personale, stavano, ad esempio, alla base del movimento pacifista dei primi anni ’80. Penso alle grandi manifestazioni a Comiso alle quali ho partecipato nel 1983 contro l’installazione dei missili; un movimento pacifista in grado di praticare forme di disobbedienza civile. È necessario riprendere queste pratiche.
In prospettiva, guardando ad un futuro purtroppo oggi lontano, dovremmo lavorare per una difesa civile nonviolenta – su questo mi sembra che ci sia un contributo interessante di Gaccione – che si fondi sull’attivismo e la difesa delle reti sociali presenti sul territorio. Alcune esperienze storiche possono esserci di riferimento, ma certamente è un percorso lungo, complesso che va attualizzato nella condizione odierna.
Sarebbe favorevole allo scioglimento della Nato? Gaccione scrive che dopo la fine del Patto di Varsavia, della Cortina di Ferro e con la caduta del Muro di Berlino, la Nato non ha più senso ed è divenuta un grave pericolo per la pace. Va eliminata, secondo lui. L’Italia dovrebbe uscire unilateralmente dalla Nato e chiudere le basi dove sono ospitate testate nucleari.
Posso solo dire che sono totalmente d’accordo sullo scioglimento della Nato. L’azione che la Nato sta portando avanti in questi anni è addirittura in contrasto con il motivo stesso che ne giustificò la nascita. La Nato, infatti, era stata presentata come uno strumento di difesa dei territori europei all’epoca della guerra fredda.
La situazione è totalmente cambiata: credo che si sia persa una grande opportunità, cioè la Nato andava sciolta contestualmente alla fine del Patto di Varsavia. Il non aver fatto questo, ne ha permesso la trasformazione in uno strumento militare in mano agli USA per intervenire in qualunque parte del mondo, tanto è vero che, proprio in questi ultimi mesi, sta potenziando la sua presenza nel Pacifico, seppure sotto una diversa sigla.
Inoltre, il mancato scioglimento della Nato rende impossibile la formazione di un protagonismo autonomo sulla scena mondiale da parte dell’Unione Europea. Ha bloccato un’emancipazione dell’Unione Europea da una condizione di dipendenza dagli Stati Uniti, ad un soggetto capace di svolgere una propria azione autonoma e indipendente, che sappia pesare nel mondo a cominciare per esempio del Medioriente, dove l’Unione Europea, nonostante la vicinanza geografica, è totalmente priva di una propria strategia.
Sono d’accordo che dobbiamo uscire dalla Nato – meglio sarebbe scioglierla – e che vanno chiuse tutte le sue basi militari presenti sul nostro territorio a cominciare da quelle che ospitano le testate nucleari.
Perché secondo lei le forze politiche sono così refrattarie o ambigue verso il discorso del disarmo e della pace? Gaccione se la prende con gli uomini di cultura intruppatisi nel campo dei guerrafondai, ma non mi pare che i politici siano da meno.
Noi abbiamo una classe politica – parlo non solo dell’Italia ma anche dell’Europa, anche se in Italia questo è più evidente – che è totalmente subalterna agli interessi di alcune lobby; in particolare per quanto riguarda l’Italia è subalterna alle lobby delle armi, di Big Pharma, cioè dell’industria farmaceutica e a coloro che controllano le fonti energetiche e la loro logistica. Ma non direi che la politica è ostaggio.
La classe politica dirigente è strettamente intrecciata con i vertici di tali lobby e talvolta ha anche soggettivamente degli interessi economici diretti all’interno di queste aziende.
In Italia stiamo andando verso i 38 miliardi all’anno di spesa militare; si sta passando nel giro di pochi anni da una spesa per le armi di 68 milioni al giorno a una di 104 milioni.
La pressione del sistema è fortissima e qui si aggiungono altre considerazioni.
Un’ autonomia praticamente inesistente del 90% del mondo mediatico italiano che dipende per tutto dal sistema politico del quale ne è il megafono. Esistono certamente dei media critici, delle trasmissioni fuori dagli schemi e dei giornalisti d’inchiesta, ma sono delle eccezioni. Accade che leggendo i titoli possa essere difficile individuare quale quotidiano si sta sfogliando; a differenza di quanto accade anche negli USA, non abbiamo una tradizione di grandi media autonomi dal potere e interessati a svolgere un ruolo di controllo pubblico su chi governa. Nel mondo della cultura, anche qui con tutte le eccezioni del caso, vi è una forte tendenza a recitare il ruolo di menestrelli del potere. Abbiamo fatto tante critiche agli Stati Uniti, ma pensiamo al ruolo importantissimo dei media indipendenti e degli scandali che sono stati capaci di individuare fino a far cadere il presidente degli Stati Uniti.
I libri di Gaccione e l’impegno che state portando avanti voi, Laura e Fabrizio, così come tanti siti on-line è un lavoro importantissimo che sta contribuendo a costruire coscienza critica.
A chi lo accusa di scarso realismo, Gaccione controbatte scrivendo nel libro citato che è proprio il realismo degli uomini di potere ad averci condotti a questa drammatica situazione da apocalisse, e dunque, richiede un radicale cambio di pensiero. O disarmare o morire. O abolire armi, eserciti e alleanze militari o saltare in aria. È proprio così?
Direi che è assolutamente così, concordo con l’essenza del ragionamento che propone Gaccione. Oggi messaggi che sembrano radicali e che possono apparire un’utopia rappresentano invece l’unica via che l’umanità ha davanti a sé per la propria sopravvivenza.