L’autunno è arrivato ed è tempo di fare il cambio di stagione e di riorganizzare l’armadio. Un’occasione per riflettere sul nostro rapporto con i consumi e, in particolare, con i vestiti e con il mondo della moda, uno dei settori industriali più inquinanti e nel quale si registrano ampie e diffuse violazioni dei diritti dei lavoratori. Sotto ai nostri vestiti c’è molto più di un semplice tessuto: c’è un mondo che non ci viene mostrato e che noi facciamo finta di non vedere, c’è il secondo fattore di inquinamento del pianeta e c’è la nostra salute. Ogni anno vengono prodotti 100 miliardi di capi d’abbigliamento, per vestire (in modo diseguale) 7 miliardi di persone. Acquistiamo tanti vestiti diversi, cambiano continuamente look, ci riempiamo di abiti d’ogni tipo, incuranti dell’enorme costo umano, sociale e ambientale che sta dietro al nostro abbigliamento. Vengono prodotti 2 miliardi di jeans all’anno con un impiego d’acqua raccapricciante, se si considera che per fare un unico paio di jeans servono tra i 7.000 e i 10.000 litri di acqua. L’industria tessile emette nell’aria 1 miliardo e 200 milioni di tonnellate di anidride carbonica, ogni anno: più dell’intero traffico aereo mondiale. Senza dimenticare le sostanze tossiche: il 25% di tutti gli insetticidi del mondo e il 10% dei pesticidi, viene impiegato per la lavorazione del cotone (soprattutto per i jeans). E ai fattori inquinanti si accompagna l’enorme sfruttamento dei lavoratori, spesso costretti a lavorare in condizioni proibitive e per paghe misere. Lavoratori che quasi sempre sono donne, bambini e bambine.
Per non parlare dei nostri vestiti che diventano poi rifiuti. Dal 1° gennaio 2022 in Italia è scattato l’obbligo di raccogliere separatamente i rifiuti tessili, come previsto dal decreto legislativo n. 116/2020 (a livello europeo, invece, la raccolta differenziata di questa tipologia di rifiuto diventerà obbligatoria entro il 2025). L’obiettivo è quello di diminuire l’impatto ambientale del tessile e incentivare il riutilizzo e il riciclo. Il 5,7% dei rifiuti indifferenziati (secondo stime di Ispra) è composto da rifiuti tessili, si tratta di circa 663 mila tonnellate all’anno destinate allo smaltimento in discarica o nell’inceneritore e che invece potrebbero essere, in grande parte, riutilizzate o riciclate. Secondo la Commissione e il Parlamento Europeo, il settore è responsabile del 10% delle emissioni mondiali di gas a effetto serra. Con l’obbligatorietà, scattata a Capodanno scorso, i Comuni e i gestori, che non hanno ancora attivato questo servizio di raccolta, dovranno realizzarlo quanto prima e regolamentarlo al meglio, comprendendo sia gli indumenti che altri materiali tessili, come ad esempio la tappezzeria, le lenzuola, gli asciugamani e altri prodotti tessili che, per lo più, si trovano nelle nostre abitazioni. Ricordiamo che per riconvertire il sistema e avviare una vera economia circolare nel tessile-moda sono necessari ingenti investimenti e il PNRR stanzia 150 milioni di € per la costituzione di ‘textile hubs’ innovativi a cui si aggiunge una parte del miliardo e mezzo destinato alle amministrazioni pubbliche per il miglioramento dei sistemi di raccolta differenziata e riciclo. Ancora oggi però in Italia sono pochi i Comuni seriamente impegnati nella raccolta separata dei rifiuti tessili e ancora oggi, purtroppo, il settore continua a ritenere soltanto alcune materie pregiate, come la pura lana e il cashmere, idonee per essere reimmesse nel circolo produttivo, mentre tutti gli altri materiali sono considerati ancora scarti e finiscono in discarica. Ci sono amministrazioni locali che hanno predisposto i cassonetti o le campane nelle strade o degli appositi spazi nelle isole ecologiche e comuni- come Capannori– che stanno sperimentando il “porta a porta” anche per la raccolta degli indumenti. Ci sono però molti altri Comuni che la raccolta dei rifiuti tessili urbani non l’hanno neppure considerata, lamentando “per bocca” dell’ANCI l’assenza di linee guida ed obiettivi da parte del ministero della Transizione ecologica. Eppure, come dicevamo, anche senza queste linee guida ci sono Comuni che stanno agendo, dimostrando che anche in presenza di inerzie ministeriali, l’autonomia può “fare miracoli”. L’ANCI ha comunque da tempo siglato un accordo con il CONAU grazie al quale i Comuni possono disporre di un servizio di raccolta della frazione tessile senza oneri per le casse comunali, organizzato secondo standard di efficienza, che porterà all’aumento della relativa quota di recupero con conseguente riduzione del costo di smaltimento in discarica sostenuto dal Comune e, quindi dai cittadini .
Il mondo della moda- per fortuna– è fatto anche da tante realtà artigianali, di riciclo e recupero, di economia circolare che producono piccole collezioni sostenibili, proponendo alternative più etiche e durature alla fast fashion. E non siamo all’anno zero neppure per dare “una seconda vita” ai nostri abiti. Già ora sono in tanti che quando decidono di disfarsi di un capo di abbigliamento optano per il riuso/riutilizzo, donando a strutture riconosciute, o per la raccolta differenziata dei rifiuti tessili e utilizzando specifici contenitori. Anche se non sempre la filiera risulta trasparente ed esente da episodi di traffico illecito di rifiuti tessili: https://raccoltavestiti.humanaitalia.org/wp-content/uploads/2016/01/Indumenti-usati-come-rispettare-il-mandato-del-cittadino-15.05.2015.pdf.
Sempre nell’ottica di ridurre la sovra-produzione di rifiuti tessili, in alcuni Comuni si può scegliere di rivendere i capi inutilizzati a negozi specializzati o mercatini dell’usato. Già oggi il riuso rappresenta insomma un mercato parallelo a quello del nuovo e secondo i dati raccolti da UNIRAU, evoluzione dello storico Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati- CONAU, in Italia il settore della raccolta e recupero degli abiti usati ha vissuto una forte crescita negli ultimi anni, passando dalle 72 mila tonnellate del 2009 alle 110mila e più attuali. Molti sono anche i siti Web e le APP dedicate alla compravendita, ma anche allo scambio di abiti usati e, infine, spesso si organizzano Swap-party, ovvero giornate o serate in cui ci si incontra e si scambiano abiti tra amici.
“Non è più l’epoca dell’ostentazione, ma della consapevolezza. Cosa c’entra questo con la moda? C’entra moltissimo, perché quando arriverà il momento del cambio di stagione, i consumatori riserveranno delle sorprese. E se davvero comprare meno e meglio diventasse il nuovo trend? Se la moda usa e getta diventasse una cattiva abitudine da cui disintossicarsi?”: così si legge nell’ultimo numero della newsletter di “Solo moda sostenibile”: https://www.solomodasostenibile.it/.
Un appuntamento per riflettere su tutto ciò e, soprattutto, per vedere da vicino tante alternative ci sarà l’1 e 2 ottobre, a Palazzo Re Enzo a Bologna, ove si terrà l’11^ edizione di “Rivestiti!”, il festival promosso dalla rete delle realtà di commercio equo e solidale dell’Emilia-Romagna. Maggiori info sul sito di Terra Equa- Emilia-Romagna EquoSolidale www.terraequa.it