“Preferirei di no.” è il convegno organizzato dal Centro Studi Sereno Regis in occasione del cinquantesimo anniversario dell’entrata in vigore della legge 772 sull’obiezione di coscienza[1].
Il convegno, organizzato su due giorni (7-8 ottobre 2022) e tre sessioni presso la Sala Poli del Centro Studi in via Garibaldi 13 a Torino, ha affrontato la questione da vari punti di vista.
Nella sessione di sabato mattina intitolata “L’obiezione di coscienza in Italia” si è cercato di dare un contesto storico al movimento che ha portato alla nascita della legge 772.
Pietro Polito e Marco Labbate hanno coordinato il dibattito a cui hanno partecipato:
Nicola Labanca, Università degli Studi di Siena con l’intervento dal titolo “Le dimensioni dell’obiezione di coscienza al servizio militare”
Bruna Bocchini, Università degli Studi di Firenze con l’intervento dal titolo “Obiezione di coscienza e cristianesimo negli anni Sessanta”
Amoreno Martellini, Università degli Studi di Urbino con l’intervento dal titolo “Dalla nonviolenza capitiniana all’antimilitarismo. I linguaggi dell’obiezione di coscienza”
Claudio Vercelli, Università Cattolica di Milano con l’intervento dal titolo “L’esercito e la sua contestazione in Italia”
Pierpaolo Rivello, Università degli Studi di Torino, con l’intervento dal titolo “La giustizia militare nell’Italia repubblicana”
Le dimensioni dell’obiezione di coscienza al servizio militare
Nicola Labanca comincia il suo intervento con una precisazione rivolta ai numerosi giovani presenti tra il pubblico in sala avvisando che descriverà un mondo profondamente diverso da quello odierno ma che ne è stata la base: un mondo in cui alcuni diritti che oggi appaiono inalienabili non erano riconosciuti. Un mondo in cui il servizio militare era obbligatorio per i maschi e chi, per infinite ragioni, non voleva sottostare a questo obbligo, doveva affrontare processi ed il carcere militare.
Se gli interventi della sessione di venerdì sono stati di tipo testimoniale, quelli di questa sessione hanno la necessità di assumere una dimensione storica, staccandosi dall’oggetto di studio.
L’ONU ha riconosciuto nel 2013 il diritto all’obiezione di coscienza in quanto strettamente legato ad altri diritti fondamentali ed ormai diversi movimenti religiosi e laici riconoscono questo diritto.
Solo cinquanta anni fa la situazione era molto diversa, per questo la legge 772 del dicembre 1972 è stata una legge epocale: il professor Labanca si è dato il compito di cercare di analizzare la dimensione del movimento per l’obiezione di coscienza al servizio militare esaminando i dati dei distretti militari, dati finora non adeguatamente analizzati, che danno un’idea abbastanza precisa di questa dimensione e degli attori coinvolti.
Dall’analisi di questi dati risulta che il movimento per l’obiezione di coscienza è stato relativamente ristretto: dal 1946 al 1972 sono 2203 i provvedimenti dei tribunali militari a carico degli obiettori di coscienza, in rapida progressione con il passare dei decenni. Facendo un’analisi sulle motivazioni dichiarate per l’obiezione, la grande maggioranza sono obiettori per motivi religiosi (in particolare Testimoni di Geova, ma anche cattolici e valdesi) ed alcuni per credo politico (anarchici e marxisti).
Malgrado i numeri ristretti, questi giovani sono stati in grado di smuovere l’opinione pubblica ed a farsi riconoscere dagli ambienti culturali e politici di allora, in particolare da parte del Partito Radicale che è diventato il riferimento politico principale degli obiettori, almeno fino al 1972. Successivamente anche i movimenti politici di massa (cattolici e marxisti) si sono occupati della questione.
Il movimento degli obiettori di coscienza ha ottenuto dei risultati grazie alla convergenza verso gli stessi obiettivi di diversi movimenti che singolarmente non avrebbero ottenuto risultati significativi; questo esempio deve essere preso in considerazione anche per le rivendicazioni odierne.
Obiezione di coscienza e cristianesimo negli anni Sessanta
Bruna Bocchini analizza la posizione della Chiesa Cattolica rispetto alla guerra ed all’obiezione di coscienza dalla sua nascita fino alla radicale trasformazione del punto di vista nel corso degli ultimi anni, a partire dagli anni sessanta ed in particolare dal Concilio Vaticano II.
La Chiesa Cattolica comincia ad essere a favore delle guerre a partire dal concilio di Nicea, nel 325 d.C., dove prende posizione a favore dell’imperatore Costantino e delle guerre a difesa dell’impero.
Il concetto di Guerra Santa è riconosciuto fino a tempi moderni da Cattolici e Protestanti con la sola eccezione degli anabattisti; benché intervenga sulla visione del mondo su diversi argomenti, l’illuminismo non cambia il punto di vista religioso nei confronti della guerra.
La Prima guerra mondiale vede coinvolte attivamente tutte le Chiese, ma l’immane mattanza della prima guerra del Novecento comincia ad aprire delle crepe nel fronte religioso; Benedetto XVI tenta di prendere una posizione più pacifista, seguito da alcuni intellettuali cattolici negli anni ’20.
Negli anni ’30 si fa strada l’idea che la guerra possa essere giustificata solo da organismi internazionali come la Società della Nazioni, ma questo dibattito si interromperà durante Fascismo e Nazismo in cui si registrano casi di obiezione di coscienza di tipo religioso duramente puniti dai regimi: emblematica in tal senso la deportazione nei campi di sterminio di evangelici e testimoni di Geova ed il caso di Franz Jägerstätter, obiettore di coscienza cattolico austriaco condannato a morte nel 1943.
Dopo la Seconda guerra mondiale e soprattutto l’esplosione delle bombe nucleari di Hiroshima e Nagasaki nel mondo cattolico si chiede da più parti la revisione della dottrina della Guerra Giusta, ma questa richiesta incontra forti resistenze nell’ambito ecclesiastico, in particolare dei cappellani militari.
Il Concilio Vaticano II ed il caso eclatante della condanna di Padre Ernesto Balducci riaprono il dibattito del rapporto tra guerra e Chiesa Cattolica, dibattito che continua ancora oggi nelle recenti posizioni contro la guerra di Papa Francesco.
Dalla nonviolenza capitiniana all’antimilitarismo. I linguaggi dell’obiezione di coscienza
Amoreno Martellini analizza l’evoluzione del linguaggio nel movimento pacifista a partire dalla nonviolenza ispirata da Capitini fino all’antimilitarismo.
Si potrebbe pensare che ci sia un legame diretto tra il linguaggio ed i movimenti sociali, in realtà spesse volte il cambiamento del linguaggio precede i movimenti sociali.
Per semplificare il professor Martellini comincia la sua analisi dalla trasformazione del linguaggio avvenuta nei primi anni 60 ad opera dei cambiamenti profondi della società italiana causati dal boom economico, dai nuovi media e dai cambiamenti sociali. Cambiamento che si riflette anche nel movimento pacifista.
Capitini, che fino a quel momento era il rifermento in Italia del movimento pacifista, si rende conto dell’isolamento del “piccolo mondo antico” del movimento e lancia il cambiamento di linguaggio delle marce, modalità di protesta già presente nella cultura anglosassone, ma totalmente assente in Italia. La marcia è una forma popolare di protesta, diverso dai dibattiti culturali in cui si era manifestato fino ad allora il movimento pacifista. Questo cambiamento di linguaggio ebbe successo ed avvia i movimenti antimilitaristi degli anni 60, ma il passaggio di testimone tra il mondo dei primi del 900 ed i giovani degli anni 60 non è privo di conflittualità e tensioni. Lo stesso Capitini si dice sconvolto dagli slogan dei giovani pacifisti e viene fortemente criticato dai nuovi attori del movimento.
Interessante anche l’analisi degli scritti degli obiettori di coscienza che evidenziano un cambiamento di codici e di valori di riferimento avvenuti nel giro di pochi anni.
Oggi possiamo dire che la legge 772 non provocò la fuga dal servizio militare prevista dai critici, ma solo il riconoscimento di un diritto; l’ultimo cambio di linguaggio si registra negli anni 80 da parte del fronte opposto: comincia a farsi strada l’idea di un movimento pacifista infiltrato dai terroristi e delle missioni militari come missioni di pace in un’inversione totale dei campi semantici.
L’esercito e la sua contestazione in Italia
Claudio Vercelli interviene per dare il punto di vista dei non obiettori al servizio militare, per completare l’analisi includendo tutti gli attori e dare vari spunti di riflessione.
A partire dall’articolo 52 della costituzione italiana, cerca di precisare una serie di termini fondamentali per capire le questioni legate all’obiezione di coscienza.
La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.
Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici.
L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.
La Costituzione italiana nega qualsiasi eredità fascista e ciò si dimostra in un’attenta scelta delle parole anche negli articoli più controversi: innanzitutto il concetto di patria non è a base etnica o nazionalista, ma si basa sul concetto di cittadinanza repubblicana, concetto derivato dalla Rivoluzione francese ed ancora in evoluzione. Lo stesso concetto di Patria è in divenire, ma in ogni caso nell’impalcatura costituzionale è sacra e va difesa.
Altre suggestioni, potere-forza-violenza: nella costituzione lo Stato ha l’esclusiva dell’uso della forza ed in specifico questa funzione è svolta anche dalle Forze Armate, ma forza non è violenza anzi l’uso della violenza può mettere in discussione la delega allo Stato dell’uso della forza.
Pacifismo-antimilitarismo: una posizione pacifista mette in discussione in ultima analisi il concetto di Nazione, la posizione anti-militarista è semplicemente contro l’esercito.
Refrattarietà – Contestazione – resistenza: La refrattarietà è atto non politico che implica un non riconoscimento. La contestazione è un atto politico che implica il rifiuto dell’autorità e della legge. La resistenza è un atto politico che può essere non armato (civile) piuttosto che armata.
La giustizia militare nell’Italia repubblicana
Pierpaolo Rivello fa un’analisi della questione obiezione di coscienza dal punto di vista della giustizia militare sottolineando che, in assenza della legge 772, i tribunali militari erano obbligati ad agire con i processi e l’arresto degli obiettori in base al reato di mancanza alla chiamata. I processi venivano istruiti nei tribunali militari competenti nel territorio dove si registrava il reato che il più delle volte si manifestava presso il CAR (centro addestramento reclute).
La legge 772 presentava una serie di criticità che sono state via via corrette anche con il pronunciamento della Corte costituzionale; il problema più grosso stava nell’articolo 3 che prevedeva l’esame della richiesta di obiezione da parte di una commissione che a quel punto si faceva carico di decidere sulle motivazioni personali di una scelta di obiezione, cosa di per sé complicata.
La Corte costituzionale si è pronunciata anche sulla presunta contrapposizione tra la legge 772 e l’articolo 52 della Costituzione specificando che l’obbligo di difesa della Patria può essere espletato anche attraverso forme di difesa non armata.
Successivamente si è tolto il servizio civile dalla legislazione militare.
Una vita verso la nonviolenza
Daniele Lugli, presidente emerito del Movimento Nonviolento, ed Enzo Bellettato, obiettore, presenti alla fondazione del Movimento Nonviolento per la pace, sono intervenuti a distanza per raccontare la loro esperienza personale di obiettori nel periodo in cui questo significava pagare di persona. Queste testimonianze si sono aggiunte a quella di Claudio Pozzi fatta ad inizio convegno.
[1] Questo articolo vuole essere uno stimolo alla visione dei video dell’intero convegno, visione che mi sento di consigliare dato il livello degli interventi e gli interessanti approfondimenti in esso contenuti