I dati di Caritas Italiana, contenuti nel 21° Rapporto su povertà ed esclusione sociale dal titolo “L’anello debole”, confermano il dramma di 1 milione e 960 mila famiglie, ben 5.571.000 persone (il 9,4% della popolazione residente), costrette a vivere in povertà assoluta, con un’incidenza più alta al Sud e livelli di povertà inversamente proporzionali all’età (la percentuale di poveri assoluti si attesta infatti al 14,2% fra i minori, quasi 1,4 milioni bambini e i ragazzi poveri, all’11,4% fra i giovani di 18-34 anni, all’11,1% per la classe 35-64 anni e al 5,3% per gli over 65, valore, questo, sotto la media nazionale). I materiali del rapporto e gli atti della presentazione sono recuperabili qui.
Si tratta di dati che non arrivano- purtroppo -inaspettati e che confermano come una parte significativa del nostro Paese sia in grandissima difficoltà a condurre una vita dignitosa. L’emergenza povertà è insomma in cima alle preoccupazioni di milioni di persone, come ha di recente evidenziato “Poveri Noi”, una ricerca messa a punto da un laboratorio permanente che prende il nome di INC Non Profit Lab, nato per volontà dell’Istituto Nazionale per la Comunicazione, da tempo attento al Terzo Settore, in collaborazione con Rai Per la Sostenibilità.
Secondo i dati di questo rapporto, l’emergenza povertà resta la preoccupazione maggiore degli italiani: il 26,4% degli intervistati (18-75 anni) la pone come principale fattore di apprensione per il presente e per il futuro prossimo. L’insicurezza alimentare e la carenza di materie prime, dovute all’instabilità delle relazioni internazionali e ai cambiamenti climatici, occupano invece il secondo posto in questa infelice classifica (12%), seguite dal rischio di collasso dei sistemi sanitari pubblici per la carenza di strutture e personale medico-sanitario (11,5%). Si tratta di problemi tangibili, che hanno molto a che vedere con la vita di tutti i giorni, con l’impoverimento progressivo delle classi medie e l’aumento dei prezzi dei beni di consumo, come pure con la possibilità di essere curati in caso di necessità.
Vi è poi un gruppo di risposte che si posizionano tutte tra l’8 e il 9%: la lotta all’emergenza climatica, che sembra aver subito un freno (secondo l’8,8%), le ripercussioni silenziose ma devastanti delle crisi sull’individuo, ovvero il disagio e il malessere psicologico (8,7%), come pure l’aumento dei flussi migratori (8,6%) e l’esposizione alla povertà educativa per un’intera generazione di bambini e ragazzi, dopo due anni di didattica a distanza (8,2%). Meno preoccupanti e forse meno urgenti sono per gli italiani l’ulteriore impoverimento dei fondi per la ricerca, la cultura, l’educazione e la scuola (6,4%), nonché la crisi della solidarietà e la chiusura individualistica come effetto dell’incertezza del futuro (4,7%).
L’instabilità e l’incertezza dilaganti hanno portato tanti cittadini a individuare nel Non Profit un punto di riferimento e un appiglio sicuro: il 52% delle organizzazioni registra un aumento delle donazioni sulle nuove emergenze. Sulla raccolta fondi generale, il 24% degli intervistati ravvisa una crescita a fronte di un 19,7% che denuncia un calo delle donazioni su tematiche slegate dalle crisi contingenti. L’impatto della crisi si è fatto in parte sentire anche sulle campagne di comunicazione, che sembrano aver risentito degli effetti di una sorta di “saturazione” da esposizione alla sofferenza. Se quasi la metà delle Organizzazioni Non Profit, il 49,3%, dichiara che non è cambiato nulla, si registra comunque un significativo 28% dei rispondenti che denuncia un rifiuto da parte di alcune target audience rispetto alle cosiddette “immagini del dolore”, mentre il 15,5% registra un aumento dei commenti negativi sui propri canali social.
E per il futuro? La priorità nei mesi a venire sarà dunque ricostruire dalle macerie: il Non Profit ne è pienamente consapevole e non si tira indietro, nonostante la visione e le aspettative siano piene di ombre e di incognite. Il 45% di chi opera nelle ONP immagina che tra due anni l’Italia e la sua società saranno ancora alle prese con tanti problemi irrisolti sul fronte socio-economico, ambientale e sanitario, ma impegnate nella ricostruzione dalle macerie (38%). Vi è chi teme un’involuzione, con società più povere e individualiste (24%), e parallelamente chi prevede un calo delle donazioni a causa dell’impoverimento generale e dell’incertezza del futuro (35%). Secondo il 31% degli intervistati, cresceranno le ONP che si occupano di povertà e di emergenze sanitarie, oltre il 28% prevede che i progetti e le campagne si concentreranno sempre di più sull’Italia. Ma la fiducia nel Terzo Settore e l’adesione ai valori di cui è portavoce rimane alta: il 48% ritiene che il mondo associativo saprà rispondere alle emergenze crescenti laddove le istituzioni non riusciranno ad arrivare e il 39,4% pensa che avrà un ruolo fondamentale e socialmente riconosciuto per uscire dalla crisi. Si rafforzeranno i rapporti di partenariato con le istituzioni (22,5%) e cresceranno le organizzazioni di secondo livello in grado di fare lobbying (24%).
Come aveva intuito Paul Valery, “il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta”. Anche se, come sempre, il futuro dipende anche da noi, dalla nostra capacità di lottare contro le disuguaglianze e le povertà, contro gli sprechi e gli inquinamenti, contro il disagio sociale e la povertà educativa, contro le privatizzazioni e per i beni comuni, sapendo che possiamo contare su un mondo di Associazioni, di Ong, di Onlus e di Fondazioni che convergendo o meno, insorgendo o meno e al netto dei tanti problemi che anch’esse hanno sono comunque attive quotidianamente per cambiare lo stato delle cose.