Il 14 ottobre del 1962 un aereo spia U-2 statunitense (vecchi tempi, altro che satelliti!) che sorvolava Cuba rivela che l’Unione Sovietica stava costruendo rampe per l’istallazione di missili con testata nucleare. Il presidente Kennedy ordina immediatamente il blocco navale a Cuba. Ha inizio la più grave crisi dall’inizio della Guerra Fredda: per tredici lunghi giorni Urss e Usa si fronteggiano, arrivando a un passo dalla guerra. Il mondo intero sta con il fiato sospeso. E in effetti non viene solo sfiorata la Terza Guerra Mondiale, ma l’Armageddon nucleare! E a sventarlo fu il sangue freddo di un capitano sovietico, Vassili Arkhipov (e “forse” anche, in modo del tutto indipendente, di un suo omologo statunitense, William Bassett, ma abbiamo una sola testimonianza postuma).

Questa vicenda l’ho già raccontata in modo molto dettagliato quattro anni fa (https://staging1.pressenza.com/it/2018/10/il-27-ottobre-1962-vassili-arkhipov-salvo-il-mondo-dallolocausto-nucleare-21-anni-prima-di-stanislav-petrov/), ma oggi forse è opportuno sintetizzare gli aspetti principali. Infatti dopo lo scoppio della guerra in Ucraina da molte parti è stato fatto un accostamento con quella crisi di 60 anni fa: e in effetti non pochi sono i punti comuni, ma molti i punti di differenza, per cui mi sembra opportuno tornare brevemente su quella vicenda. Userò il tempo presente per accentuare l’attualità odierna di quelle vicende.

A quel tempo, 15 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale (e delle bombe su Hiroshima e Nagasaki), non vi è nessun accordo internazionale per il controllo degli armamenti, tanto meno sugli arsenali nucleari che stanno diventando il fulcro del confronto militare fra i due blocchi. Verso il 1960 gli USA hanno circa 30.000 testate nucleari, l’URSS circa 5.000, sufficienti per la devastazione totale: i missili intercontinentali sono all’inizio, e l’URSS ne ha solo una ventina in grado di raggiungere il territorio statunitense. La Gran Bretagna ha realizzato la bomba nel 1952; la Francia nel 1960 (ma in collaborazione con Israele, che quindi si presume che pure l’abbia); la Cina vi arriverà solo nel 1964. Fra l’altro, il Doomsday Clock istituito nel 1947, aveva toccato i 2 minuti dalla Mezzanotte (la metafora della fine del mondo) nel 1953 con la Guerra di Corea (quando effettivamente McArthur avrebbe voluto sganciare sul Nord bombe nucleari), ma nel 1960 era stato riportato a 7 minuti, e nel 1963 a 12 minuti, quindi non registra la minaccia nel 1962, che in effetti si seppe soli molti anni dopo: ecco una prima differenza rispetto alla situazione attuale.

Sempre a quel tempo, nel 1959 gli Stati Uniti hanno in gran segreto schierato missili con testata nucleare capaci di colpire l’Unione Sovietica in Italia, a Gioia del Colle, e in Turchia. Ovviamente Mosca lo sospetta, si può affermare che lo sa, ma appunto non ci sono ancora i satelliti spia, e solo gli Stati Uniti hanno gli aerei spia U-2 che sorvolano ad alta quota i paesi avversari. Si può pertanto sostenere (non certo giustificare) che la decisione di Kruscěv nel 1962 di schierare, segretamente, missili nucleari a Cuba sia un atto di difesa, ancorché estremamente rischioso: e qui c’è a mio avviso un’analogia col presente, l’allagamento della NATO (che è un’alleanza nucleare) verso Est, fino ai confini della Russia, che Mosca ha percepito come una minaccia. Comunque ci si potrebbe chiedere come si sarebbe sviluppata la situazione della Guerra Fredda qualora l’esistenza dei missili sovietici a Cuba fosse stata scoperta solo a cosa fatta, e la minaccia nucleare fosse stata bilanciata, fra i missili degli USA in Italia e Turchia, e quelli dell’URSS a Cuba: anche se è una domanda retorica, la storia non si fa con i “se”. “Forse” sarebbe avvenuta molto prima la spinta, obbligata, ad accordi di disarmo nucleare.

C’è anche un altro aspetto da considerare per valutare il comportamento di Washington in quel 1962. Per tutta la durata della crisi, dal 14 al 28 ottobre, lo Stato maggiore USA insiste per un’azione militare per eliminare le rampe missilistiche prima che queste diventino operative: non sanno che a Cuba si trovano già 140 testate nucleari sovietiche!

Un’altra cosa che i comandi statunitensi ignorano è che intanto Kruscěv ha inviato verso Cuba vari sommergibili di scorta ai mercantili diretti verso l’isola, ciascuno dei quali è dotato di una torpedine con una testata nucleare di 10 kt (poco meno di quella su Hiroshima). La squadra di 4 sommergibili a propulsione diesel è al comando del capitano Vassili Arkhipov, che personalmente si trova sull’ammiraglia B-59 ma non ne è il comandante. Su ogni sommergibile l’eventuale decisione di lanciare la torpedine nucleare richiede il consenso del comandante e dell’ufficiale politico: ma sul B-59 è necessario anche il consenso del comandante dell’intera squadra, appunto Arkhipov. E qui si innesca la vicenda drammatica che si è saputa solo molti anni più tardi.

È in quel fatidico 27 ottobre 1962 che una squadra navale statunitense individua in acque internazionali il sommergibile B-59 e inizia una caccia a oltranza per costringerlo a emergere. La tensione a bordo è alle stelle. Il sistema di ventilazione dei sommergibili della flotta dell’Artico non funziona bene nell’Atlantico: la temperatura all’interno del sommergibile sale a 45-50 gradi; aumenta anche l’anidride carbonica, l’equipaggio (78 membri) non è quasi in grado di respirare.

È impossibile contattare Mosca e sotto la caccia degli americani il capitano del B-59 Savitsky è convinto che la guerra sia scoppiata, non vuole affondare senza combattere, decide di lanciare la testata nucleare contro la portaerei: moriremo anche noi, ma affonderemo anche loro. L’ufficiale politico è d’accordo col capitano, ma sull’ammiraglia B-59 è necessario anche il consenso di Arkhipov: la Terza Guerra Mondiale, nucleare, dipende dalla sua decisione. E Arkhipov si oppone, ragiona, convince il comandante. Il quale comunque non è lontano dal vero: quel 27 ottobre la crisi è al culmine, un aereo spia U-2 statunitense viene abbattuto su Cuba e un altro sulla Russia viene quasi intercettato. Kennedy patteggia il ritiro dei missili sovietici da Cuba in cambio della promessa di non invadere più l’isola (come gli USA avevano fatto un anno prima organizzando lo sbarco dei controrivoluzionari cubani alla Baia dei Porci1). I mercantili sovietici tornano indietro e il 28 ottobre Kruscěv annuncia di avere ordinato la rimozione dei missili da Cuba.

Arkhipov convince il comandante Savitsky a fare emergere il B-59: rifiuta l’assistenza dei caccia statunitensi e fa rotta verso la Russia. La sua missione è fallita.

Arkhipov continuerà a prestare servizio nella Marina sovietica, il suo ruolo nell’avere salvato il mondo è rimasto sconosciuto fino a poco prima della sua morte, nel 1998, a 72 anni. Sua moglie Olga racconterà qualche anno più tardi, “Sono stata e sempre sarò fiera di mio marito. Lui è l’uomo che ha salvato il mondo”. Il 27 ottobre dovrebbe essere proclamato Arkhipov day.

Ma c’è un altro aspetto non trascurabile della vicenda che si è saputo solo dopo 50 anni. Ho sottolineato come lo schieramento di missili nucleari in territori stranieri da parte di Washington venisse effettuata segretamente: e così avevano fatto nel 1961 anche in Giappone, ad Okinawa, cosa che Kruscěv sospettava chiaramente, anche se la loro gittata poteva colpire parti della Cina ma non l’Urss. I Kennedy Tapes hanno rivelato che questo era ignoto allo stesso Presidente Kennedy, eletto nel gennaio 1961, e ne fu informato proprio quando scoppiò la crisi dei missili a Cuba. In ogni caso, nel suo discorso televisivo del 22 ottobre 1962, una settimana dopo lo scoppio della crisi, Kennedy ebbe l’impudenza di affermare: “I nostri missili strategici non sono mai stati trasferiti al territorio di un’altra nazione sotto un manto di segretezza e inganno”.

Così solo nel 2015 è emersa una testimonianza di un militare di nome Bordne, in servizio a Okinawa, che proprio in quella fatidica notte del 27 ottobre il suo superiore, William Bassett (deceduto nel 2011), ricevette un ordine di lanciare i missili nucleari: ma intuì che in quell’ordine qualcosa che non tornava, prese tempo, chiese chiarimenti, insistette per ben due volte, e finalmente ricevette il contrordine: fermare tutto!2

Così oggi possiamo raccontare questa vicenda. Ed è molto opportuno ricordarla perché le cose non stanno più così: con la motivazione di evitare gli “errori umani” si è sviluppata la tendenza ad affidare il controllo degli armamenti nucleari ad automatismi. Il problema cruciale è l’errore, l’alto tasso di falsi positivi nella previsione di eventi rari. Sfortunatamente la decisione presa da una macchina sarà irrevocabile! Le macchine non solo possono sbagliare, ma possono anche venire ingannate da falsi segnali3. Un articolo del Bulletin of the Atomic Scientists del gennaio scorso commentava “Se l’intelligenza artificiale controllasse le armi nucleari potremmo essere tutti morti!”4.

Oggi non può più esservi un uomo che abbia l’autorità e la responsabilità di verificare e smentire un allarme nucleare, come fece anche il colonnello Stanislav Petrov il 26 settembre 1983.

Il parallelo fra la crisi dei missili a Cuba e il riaffacciarsi dell’incubo nucleare è certo evocativo ma inadeguato. Gli Usa con l’accordo del ritiro dei missili sovietici da Cuba del 1962 cedettero in cambio una cosa di importanza fondamentale per gli equilibri mondiali: più tardi infatti, per occultare il collegamento con l’accordo raggiunto con Mosca quel 28 ottobre del 1962, ritirarono i loro missili schierati in Turchia e in Italia. In questi anni la sicurezza in Europa è stata compromessa dall’estensione della NATO verso Est: quale concessione potrebbero offrire gli USA per ristabilirla?

2. si veda A. Tovish, “The Okinawa missiles of October”, Bulletin of the Atomic Scientists, 25 ottobre 2015, https://thebulletin.org/2015/10/the-okinawa-missiles-of-october/.

4. Zachary Kallenborn, “Giving an AI control of nuclear weapons: What could possibly go wrong?”, Bulletin of the Atomic Scientists, 1 febbraio 2022, https://thebulletin.org/2022/02/giving-an-ai-control-of-nuclear-weapons-what-could-possibly-go-wrong/.