Il termine “agricoltura civica” fu usato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1999 durante il Congresso annuale della Rural Sociological Society. T.A. Lyson definisce l’agricoltura civica come “un insieme diversificato di imprese agricole e alimentari, intergrato nella comunità” (come ad esempio, gli orti condivisi o i mercati dei contadini).
Nel 2001 la UE ha adottato lo sviluppo sostenibile come proprio principio guida e la Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) come linea di condotta per realizzare la salvaguadia dei beni comuni; il concetto di responsabilità Sociale fa, infatti, parte del Libro Verde del 2001 come “l’intergrazione volontaria delle problematiche sociali ed ecologiche nelle operazioni commerciali e nei rapporti delle imprese con le parti interessate”, quindi “essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici, ma andare oltre, investendo di più nel capitale umano e nell’ambiente” (Commissione europea, 220:6). In questa visione di “economia responsabile” la possibilità di creare valori pubblici – sociali e ambientali – è frutto di un’azione collettiva, di una cooperazione tra soggetti privati, istituzioni e società civile. Nel settore agricolo si è affermato un modello di impresa multifunzionale che lega la produzione all’ambiente, rispondendo ai bisogni etici del cittadino-consumatore con l’offerta di servizi alla persona per l’inclusione sociale e lavorativa anche di soggetti a bassa contrattualità; alcune pratiche di agricoltura civica (o sociale) sono le fattorie didattiche, l’agriturismo, la vendita diretta che legano, in maniera interdipendente, l’impresa agricola ai cittadini che, oltre a soddisfare i propri bisogni concreti, aderiscono ai valori etici alla base di questa forma di economia. Molte volte le imprese sono costrette a limitare la sostenibilità delle proprie decisioni (ad esempio con il ricorso al lavoro nero e allo sfruttamento oppure con una minore attenzione all’uso di risorse rinnovabili) a causa del poco potere contrattuale sui mercati. Per ovviare a questa situazione molte aziende aumentano il loro legame con le risorse del territorio (risorse umane, chiusura dei cicli naturali in loco, semi e varietà locali), ampliano la loro capacità di offerta di prodotti e servizi con un aumento della multifunzionalità e della diversificazione, aumentano anche la quota di valore economico e di relazione con i consumatori. Per attuare queste strategie è importante la vendita diretta proprio per accrescere il valore aggiunto sociale ed economico dell’azienda e per mantenere spazi di autonomia nelle decisioni volte al benessere collettivo.
L’ agricoltura è, oggi, sempre più integrata in un modello agro-industriale che vede le imprese della produzione e della distribuzione dominare il mercato, riducendo, così, il potere di contrattazione e di decisione degli agricoltori e dei consumatori. I cittadini, nell’era contemporanea, sono considerati solo “consumatori”, come abbiamo già rilevato in precedenza; mentre si indebolisce il ruolo dello Stato, emerge, quindi, una maggiore richiesta di coinvolgimento delle istituzioni locali e regionali, insieme alla società civile, per migliorare gli interventi nel settore dell’agricoltura locale. L’agricoltura civica attua una transizione dei produttori e dei consumatori verso imprese agricole che realizzano e commercializzano prodotti nuovi e con una forte identità territoriale, riducendo l’intervento degli intermediari. Vengono messe in atto quelle che si chiamano le strategie di “direct marketing” (mercati agricoli, auto-raccolte in azienda, gruppi di acquisto, etc.) con cui i prodotti e i servizi sono venduti dai produttori stessi ai consumatori interessati. E’ anche vero che questi produttori devono competere con con le grandi realtà commerciali e devono imparare a differenziare l’offerta per mantenere i propri clienti e rendere competitivi i costi dei loro prodotti e servizi. Inoltre, se c’è una grande attenzione verso la sostenibilità (ambientale, economica e sociale), predonima ancora la logica del mercato; si assiste, perciò, a modelli d’impresa emergenti che fanno del cibo locale, dell’agricoltura e delle relazioni commerciali con gli agricoltori locali la base per la propria area di affari (piattaforme di vendita online, app per tablet e smartphone, start -up).
Facciamo qui l’esempio dei mercati degli agricoltori: sono nati, all’inizio, in maniera spontanea, per iniziativa di produttori auto-organizzati; oggi, in Italia, sono regolati dal Decreto legislativo n.228 del 2001 che nell’art.1 ridefinisce l’imprenditore agricolo con l’introduzione dell’esercizio delle attività a quelle dirette dell’allevamento e della coltivazione e con l’art.4 che prevede la vendita diretta di tutti i prodotti sia in azienda che fuori. Nel 2007 viene emanato il Decreto Ministeriale sui mercati riservati alla vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli per promuoverne lo sviluppo; il Decreto ha demandato l’istituzione dei mercati ai Comuni e ha costribuito a sviluppare l’interesse verso queste iniziative.
Sempre nel nostro Paese, nel 2008, nasce il primo mercato della rete internazionale dei Mercati della Terra, promossa e sostenuta dalla Fondazione Slow Food per la Biodiversità che, oltre ai mercati all’estero, oggi conta 24 mercati di piccoli agricoltori e artigiani locali. (Il territorio di riferimento, per l’Italia, è dato da una distanza massima di 40 km dal Municipio, sede del mercato. www.mercatidellaterra.it)
I mercati agricoli sono diventati spazi in cui i gruppi di acquisto solidale (GAS) individuano nuove aziende o si danno appuntamento con alcuni loro abituali fornitori; luoghi in cui si ordinano i prodotti oppure si effettua la consegna nei giorni di apertura e tutto questo contribuisce a instaurare relazioni dirette con i consumatori, relazioni durature che vanno oltre l’acquisto. Inoltre, presso i mercati, si organizzano laboratori e campagne che uniscono ancora di più i produttori ai cittadini. I mercati, perciò, non sono soltanto luoghi in cui si incontrano domanda e offerta di prodotti agricoli, ma luoghi in cui la città incontra la campagna e viceversa, luoghi in cui il consumatore incontra il produttore e entrambi tornano ad essere soggetti attivi nel mercato.
Le iniziative di agricoltura sociale rappresentano il modo più chiaro di come si possa organizzare un’economia per progetto basata sulla sussidiarietà, co-produzione e forme di economia civile.
La As è, quindi, multifunzionale e lega la produzione di beni agricoli all’offerta di servizi alla persona nelle aree rurali e nelle aree intorno alle città.
L’As, inoltre, unisce la produzione di cibo (che implica la gestione e il contatto con cibi biologici, vegetali e animali) ai servizi alle persone e alle comunità con la partecipazione di imprese profit alla produzione di beni comuni, contribuendo alla diffusione di attitudini d’impresa basate sulla responsabilità per la costruzione di nuovi mercati dove impresa e consumatori si allineano sui principi di etica, partecipazione e fiducia. Nel caso delle persone a bassa contrattualità, ad esempio, questo legame costituisce un passaggio dalla co-terapia alla formazione/inclusione lavorativa, fino alla partecipazione attiva ai processi economici.
Con l’agricoltura sociale, quindi, ci si allontana dall’efficienza e ci si avvicina a sistemi agricoli che considerano la sostenibilità economica e sociale in una prospettiva di beni comuni perché il principio che la muove è quello secondo cui il cibo, i paesaggi, la biodiversità, il benessere delle persone sono proprio i beni comuni che riguardano tutti (produttori, consumatori, cittadini, istituzioni) e da tutti devono essere tutelati.