Dopo poche ore il bilancio è disastroso. 25 morti. L’azione eseguita contro la determinazione del Tribunale Supremo rientra nella logica di guerra che lo Stato impiega contro le popolazione emarginate, la massa popolare degli esclusi. Milioni di uomini, donne e bambini rilegati in favelas senza accesso ai diritti fondamentali, senza poter esercitare la cittadinanza; territori abbandonati alla mercé di milizie paramilitari e del narcotraffico. Il Tribunale Supremo, a causa della pandemia, ordinava di sospendere ogni azione, sia di carattere poliziesco che di sgombero coatto, nelle favelas di tutto il paese. Niente da fare. La forza assassina, il braccio armato del potere non rispetta più niente. Prepara l’azione a tavolino e, con giorno e ora fissati come un macabro appuntamento, entra con duecento uomini nei vicoli della favela Jacarezinho in cerca dei trafficanti. Uno sparo, e il poliziotto ferito muore pochi minuti dopo. Comincia la vendetta, vicolo per vicolo, casa per casa, un implacabile caccia all’uomo. Inseguimenti, esecuzioni sommarie, tutto l’orrore di cui i gruppi speciali brasiliani sono capaci. Alla fine i morti sono venticinque. C’è chi dice siano molti di più. I corpi vengono rimossi prima che venga eseguita la perizia.
L’accaduto è sui giornali di tutto il mondo, l’ONU esige che venga eseguita una indagine indipendente.
Traduco una riflessione di Eduardo Alves, intellettuale organico di ogni periferia, scrittore, attivista e membro della redazione brasiliana di Pressenza.
Paolo d’Aprile
Jacarezino, quartiere di Rio de Janeiro
Jacarezinho, è il diminutivo creativo di “rio Jacaré”, un fiumiciattolo che oggi, pur essendo stato trasformato in un canale sotterraneo per far posto alla Avenida Brasil, continua a scorrere fino a sfociare nella Baia de Guanabara. Il quartiere che porta il suo nome, Jacarezinho, è abitato da circa 40 mila persone, a cui è impedito di vivere. Come se non bastasse la linea ferrea, la via espressa autostradale, la gigantesca Avenida Brasil, le corsie degli autobus, la gente che ci vive e ci passa è sempre molto più numerosa. Ma nel sistema capitalista, le persone che vivono della vendita della loro forza-lavoro, principalmente in Brasile, non usufruiscono del processo naturale del nascere, crescere e morire. Sono invece vittime, socialmente e storicamente, di azioni non naturali che oltre a imporre l’impoverimento, diminuiscono il tempo di vita. Si impedisce loro di vivere e le si conduce alla morte. Il peggio poi avviene quando si determina il genocidio, inteso come pratica autoritaria e irresponsabile di un massacro come quello accaduto il 06 Maggio 2021 nella favela di Jacarezinho. L’impatto ha raggiunto ciascuno di noi in dure dosi di violenza dei sensi.
A cosa serve lo Stato, perché esiste? Per controllare, punire, organizzare lo sfruttamento, condannare e massacrare? A cosa serve lo Stato? per privare la gente, con forza sempre maggiore, della sua essenza generosa in favore del profitto di una minoranza? A cosa serve lo Stato che non permette alla vita di vivere?
Noi della periferia, organizzati, attivi per espandere la coscienza, gridiamo: “Che la vita sia diritto pieno alla dignità per tutti”. Vamos viver! Andiamo a vivere!