4 maggio 2021 el Espectador
Al contrario del suo presidente, la Colombia è capace di ascoltare e di sentire la voce e la pelle del suo popolo, il dolore degli stracci rossi appesi alle finestre affamate, il contrasto tra la verità cruda e tagliente e le falsità fatte di superbia e mediocrità. Sa guardare davvero e fino in fondo la grandezza della discriminazione e dell’iniquità. La Colombia non mente a se stessa, perché è stanca che le si menta per condurla alla guerra, per instupidire le urne e sostenere i cavalieri d’argilla che non sono in grado di sopportare il confronto con la realtà.
La Colombia è inferocita, in lutto, mal governata e sprofondata nell’incertezza. Però è audace, e più la violano e ne offuscano la democrazia, più consolida il bisogno di affermare la propria dignità.
Nelle privazioni dei suoi 21 milioni di poveri c’è più coraggio che nel suono feroce degli ajuas [grida emesse durante danze popolari NdT], quelli che rimbombano quando il potere si esprime con le pallottole e non con la capacità di mettersi nei panni degli scomparsi, dei profughi, degli infelici, della classe media che è sempre più povera e dei poveri che mangiano sempre meno.
Alla Colombia si spara negli occhi, si insegue con robocop in armatura nera e si seppellisce nel fango dei sentieri e nei muri rotti dei cimiteri. Vogliono sottometterla con la paura, fratturarle la fiducia e il cranio, ma se qualcosa abbiamo imparato, in questo paese che amiamo, e che ci svela e ci reclama e forse potrà perdonarci, è persistere e resistere; resuscitare a modo nostro tra tamburi e epidemie, tra montagne, fiori bianchi e carri armati, tra padrenostri, tiranni e proclami.
In mezzo al caos e alle fiamme che non avrebbero mai dovuto esserci, in mezzo a una protesta che non si ferma né si fermerà finche i governanti non si degneranno di guardare la realtà, tra le sirene rosse e le finestre rotte giacevano i manifestanti morti: “quello che c’è è un proiettile”. Nelle piazze piene e nelle vecchie strade la vita si è spezzata – l’hanno spezzata – e i ragazzi senza vita sono rimasti con gli occhi immobili guardando il nulla, addio a tutto quanto. Non si combattono i calci con il piombo, né la gioventù con i proiettili. Non siate infami! Non lo vedete che la morte è così atrocemente irreversibile?
È tanta l’indignazione di fronte a questo governo arrogante e lacrimoso, che è quasi passato inosservato un fatto importantissimo, conseguenza della firma dell’Accordo di Pace: venerdì – mentre tutto andava fuori controllo – gli ex comandanti delle vecchie Farc hanno presentato alla JEP un documento nel quale riconoscono la propria responsabilità e forniscono informazioni dettagliate riguardo ai sequestri commessi durante la guerriglia; non pretendono di giustificare quello che è ingiustificabile, riconoscono i trattamenti infami a cui furono sottoposte le vittime, chiedono perdono e offrono oltre 300 pagine di verità. Bene, visto che la guerra non è stata un monologo né è accaduta alle nostre spalle, si spera che gli altri protagonisti, registi e suggeritori, sceneggiatori e produttori, sponsor, tecnici e complici, abbiano il coraggio di rivelare – pure loro – la propria partecipazione a questa storia di sangue, abbandono e morte.
Al momento dell’invio di questo articolo la Colombia sta ancora protestando, e il governo sperperando repressione e indolenza. L’annuncio del presidente di militarizzare il paese è un colpo per la democrazia e la premessa per una tragedia incalcolabile. Eppure Iván Duque sembra non avere neanche un amico capace di spiegargli che governare significa ascoltare il popolo e fare il proprio massimo per onorarlo, non per schiacciarlo.
Traduzione dallo spagnolo: Manuela Donati. Rrevisione: Silvia Nocera