Oggi 27 Ottobre 2021 riprendono i lavori per la discussione del Ddl Zan in Senato dopo mesi di rinvii e dibattiti che hanno spesso visto questa proposta di legge al centro di polemiche pretestuose per distrarre l’opinione pubblica e promuovere disinformazione sulle violenze che ogni giorno si consumano sui nostri corpi. L’Italia è il primo paese in Europa al pari della Turchia per numero di crimini d’odio nei confronti delle persone transgender [fonte TMM di TGEU]. Essere una persona transgender oggi in Italia costituisce un motivo di aggressione, significa attraversare a vari livelli violenza e discriminazione come minoranza oppressa.
Al centro dell’opposizione ad una legge di civiltà, richiesta dall’Unione Europea (Risoluzione PACE 2048) e ormai presente nella legislazione di ogni paese membro, è l’identità di genere, concetto riportato nella convenzione di Istanbul (art.4), nei principi di Yogyakarta, nella stessa legislatura europea e italiana. Questa parola è stata distorta da gruppi di odio nel nome delle donne, della nazione, della sicurezza.
Sulla costruzione del nemico si è detto che un nostro diritto è divisivo.
La vita di alcune persone è divisiva. Divisivo è il diritto. Divisivo è il bisogno. Divisivo è ciò che non produce. Divisivo è il malato. Divisivo è il sano dissenso. Divisivo è ciò che è differente da me.

Identità di genere non è una parola sostituibile con un sinonimo ma è divenuta terreno di scambio, di dictat, minacce, merci politiche, voti.

Il movimento trans tutto è unito nel chiedere di approvare il DDL Zan così com’è. Non solo perché qualunque modifica significherebbe quasi sicuramente il suo definitivo affossamento, ma anche perché la definizione di identità di genere, riportata all’art.1 e fonte già di mediazioni, permette l’individuazione della categoria tutelata e comprende in maniera ampia le sue possibili esistenze e declinazioni. Eliminarla dall’art.1 e mantenerla negli articoli seguenti sarebbe una falsa vittoria, poiché rimanderebbe ad una definizione generica, valida culturalmente e scientificamente, ma che rimetterebbe a carico della singola persona la prova della propria identità in tribunale, così come è ora. Ci chiediamo perché alcuni cittadini possono accedere a tutele per definizione, ed altri debbano provarlo in tribunale.
Chiediamo alle associazioni LGBTQI+ di non appoggiare la scelta di eliminare l’art.1 così come rifiutare qualunque altra modifica.
Il nostro movimento, come per le unioni civili, ha la maledizione del voler vincere ad ogni costo, credendo che l’eliminazione di qualcuno o qualcosa sia talvolta necessaria.

Associazioni firmatarie
ACET
ATN
BOA
CEST
CONSULTORIO TRANSGENERE TORRE DEL LAGO
GRUPPO TRANS APS
LIBELLULA ODV
MIT
SPIGA
SUNDERAM
T GENUS