Sono almeno mille le persone migranti messe in mare negli ultimi giorni. E il 2022 segna già numeri alti di approdi nei porti italiani. Alcuni soccorsi da navi umanitarie, altri arrivati in un modo o nell’altro da soli. Se l’anno passato si è chiuso con il doppio delle persone sbarcate nel 2020, quello che si è appena aperto fa dunque prevedere numeri forse più alti. Normale amministrazione vedere sbarcare persone coperte di stracci, tanto da non meritare più eco mediatica. Se non per brevi notizie che non approfondiscono un fenomeno sul quale più si fa calare il velo del silenzio, più viene incentivato da chi ne ha fatto un business.
Succede così che per effetto delle politiche europee di contenimento dei flussi, aumentano le persone rinchiuse nelle carceri libiche. Circa 5.000 in centri ufficiali e un numero imprecisato in strutture non riconosciute: vittime di abusi e torture. E’ proprio in questi luoghi che spesso finiscono le persone intercettate in mare dai libici: persone di cui poi si perdono le tracce.
Come forse è accaduto alle persone fotografate dai membri dell’equipaggio della Louise Michel, la nave umanitaria bianca e rosa finanziata dall’artista statunitense Bansky che il 19 gennaio è costretta ad allontanarsi da un gommone carico di persone all’arrivo dell’imbarcazione che si qualifica come guardia costiera libica e dalla quale vengono sparati colpi ad un uomo caduto in mare. Non è chiaro se poi l’uomo sia sopravvissuto o no.
Nessuno sulla nave umanitaria si accorge di alcuni particolari che hanno invece insospettito alcuni esperti che sanno bene quali sono le barche in dotazione alla Guardia Costiera Libica con la quale l’Europa – in primis l’Italia – hanno firmato accordi per frenare i flussi migratori dal paese nordafricano. Quella barca insomma non sarebbe una delle solite in uso alla guardia costiera libica ma un’imbarcazione costruita in Grecia negli anni Novanta, riadattata ma non adatta al soccorso per struttura e dimensioni. Il sospetto è che possa essere un mezzo usato da bande assoldate da frange deviate della marina libica per intercettare e riportare indietro i migranti poi rimessi nel mercato nero degli esseri umani. Una sorta di cartello transnazionale con ramificazioni nelle istituzioni in paesi come la Libia o la stessa Tunisia.
Una intricata ragnatela di cui hanno parlato alcuni presidenti di corti di Appello nelle loro relazioni di apertura del nuovo anno giudiziario, sottolineando la difficoltà di operare indagini in questo campo. Il presidente della Corte di Appello di Palermo, Matteo Frasca, lo scrive senza troppi veli. Dietro il traffico di esseri umani c’è una “regia centralizzata e verticistica gestita di più soggetti che collega le varie organizzazioni criminali a membri delle istituzioni” ad altri soggetti che operano nell’ombra. Insomma sembra ormai chiaro che continuare a delegare il contenimento dei flussi migratori dove la corruzione è endemica ha già dimostrato il suo fallimentare esito. Eppure non si riesce a trovare altra strategia. Mentre in Libia le persone in prigionia continuano a subire torture e abusi di ogni genere, in mare si continua a partire e ancora a morire.