Articolo 21 lancia un appello alla pace e alla libertà d’espressione nel mondo dell’informazione con giornalisti e intellettuali del Paese. L’appello aperto, al quale chiunque può aderire inviando una mail a redazione@articolo21.info, vuole essere un momento di dibattito per gli addetti dell’informazione e per chi dell’informazione usufruisce; un’occasione per ripensare i nostri schemi in tempo di conflitto, uno sforzo per fare in modo che l’ecosistema informativo in questo momento di crisi possa essere all’altezza del gravoso compito che ricade su tutti noi.
Siamo di fronte alla più grande minaccia alla pace dal 1945 e come giornalisti e cittadini non possiamo ignorare di avere un ruolo cruciale sugli sviluppi di questo momento storico nel quale risuona, con ancora più forza, l’articolo 11 della nostra Costituzione: l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Da sempre l’informazione italiana è votata al pluralismo e all’equilibrio informativo, ma se in tempo di pace l’equilibrio si svolge nelle dinamiche tra maggioranza e opposizione, sindacati e imprenditori, procura e avvocati difensori e così via, in tempo di conflitto dobbiamo urgentemente rivedere i nostri schemi. In tempo di conflitto l’unico contraddittorio all’altezza della guerra: è la pace.
Eppure la pace, a una settimana dall’inizio di questa crisi mondiale, latita. Latita sia negli studi televisivi, dove si costruiscono parterre senza la voce dei pacifisti, che sui giornali, così concentrati sulla narrazione del conflitto, da aver dedicato all’annuncio della manifestazione nazionale per la pace di sabato nella Capitale solamente un pugno di righe. Il tutto si svolge poi in un clima nel quale, in piena contraddizione con l’articolo 21 della nostra Costituzione, caposaldo della libertà d’espressione, rischiamo di cedere alla facile tentazione di censurare qualsiasi opinione diversa da quella maggioritaria, col rischio di cadere nelle stesse trappole antidemocratiche che hanno portato la Russia di Putin all’inaccettabile gesto di invasione al quale abbiamo assistito. Se il solo pronunciare la parola Dostoevskij può bastare a far alzare cori di censura, sono evidenti i rischi che stiamo correndo nei confronti di un libero dibattito all’altezza del nostro Paese.
Al pari di quella bellica, dobbiamo quindi evitare un’escalation mediatica. Dobbiamo interrompere quella narrazione puramente tensiva che, ispirata da una legittima cronaca dei fatti, sta fertilizzando un terreno d’odio in grado di generare conseguenze incalcolabili. Avvertiamo inoltre la tentazione generalizzata dei mass media di utilizzare toni apocalittici e termini dotati di un altissimo carico emotivo, che seppur in sintonia con il momento di grave crisi, rischiano di creare un ecosistema informativo tossico e un effetto a cascata che non farà che allontanare le popolazioni mondiali dal confronto razionale, obiettivo e mirato alla tregua.
C’è bisogno di dare un’attuazione pratica all’articolo 11 della Costituzione, adottando anche nel linguaggio una scelta delle parole giuste per raccontare questo momento cruciale, dando più voce alla pace, abbassando i toni d’odio per lasciare spazio al dialogo, invitando i pacifisti in televisione, aprendo rubriche che interpellino la voce più che dei kingmaker, dei peacemaker, insomma facendo ciò che da sempre i giornalisti fanno: raccontare la complessità della realtà, con rispetto e responsabilità.
I primi firmatari (elenco in aggiornamento)
Simone Ceriotti
Claudia Croce
Cesarina Trillini