2014: la prima “guerra in Ucraina” tra Mosca, Kiev e – dietro le quinte – la NATO. Allora come oggi, tutti i mass media blaterarono la narrativa manichea di un Putin che, senza provocazione e di punto in bianco, avrebbe deciso di invadere l’Ucraina per ricostituire l’ex impero sovietico, se non la Russia imperiale. Un Putin così folle e intransigente che bisognava eliminarlo e basta – con l’assassinio se possibile, col nucleare, se necessario.

Per fortuna Angela Merkel intervenne allora per sfatare quella narrativa – riconoscendo implicitamente le provocazioni NATO all’origine del conflitto – e per riportare la pace, almeno nel breve termine (poi, quando il reggimento ucraino filo-nazista Azov ruppe la tregua cannoneggiando il Donbass filo-russo, si riprese una guerra “strisciante” che ci riporta ai giorni nostri). Oggi, chi potrà svolgere il ruolo di Angela Merkel? Forse l’unico è Xi Jinping.

L’attuale guerra in Ucraina ha origini lontane nei piani strategici della NATO, ha scritto, documenti alla mano, il noto giornalista Manlio Dinucci sull’edizione online de il manifesto lo scorso 8 marzo. Dopo qualche ora l’articolo è stato fatto sparire – anche dalla successiva edizione di cartanon perché conteneva errori o inesattezze, bensìsecondo Dinucci, dopo aver chiesto spiegazioni al caporedattore – in quanto metteva troppo in questione la narrativa ufficiale degli eventi in Ucraina. Per protestare contro questo atto di censura, il giornalista ha dato le sue dimissioni da il manifesto dopo 10 anni di servizio.

Non c’è che dire: il breve articolo di Dinucci intacca la narrativa mainstream del conflitto, eccome!

Secondo i mass media mainstream, infatti, Putin sarebbe un demone assettato di sangue e di potere, che improvvisamente e senza provocazione ha assalito un innocente vicino di casa. Ora, è fuori discussione che l’invasione di Putin sia un atto criminale e nulla, proprio nulla, può giustificarla; ma che Putin abbia agito senza provocazione è una affermazione che proprio non sta in piedi. Pertanto, se vogliamo davvero la pace, dobbiamo sforzarci di capire se ci siano state istigazioni e, in tal caso, da parte di chi e per quale motivo. Come nelle banali liti tra fratellini in famiglia, per riportare la pace, tutti i responsabili del conflitto – i protagonisti venuti alle mani nonché gli eventuali istigatori – devono essere individuati e riuniti intorno ad un tavolo per ricomporre le fratture.

Secondo il reportage di Dinucci, dunque, esisterebbero sì degli istigatori dietro gli eventi in Ucraina e anche una strategia a monte. A comprova di ciò, il giornalista cita un documento ufficiale della RAND Corp. (centro studi del Pentagono) del 2018 in cui viene descritto proprio lo scenario che si sta verificando in Ucraina in questi mesi: il documento è consultabile qui oppure, se sparirà dal sito della RAND, qui in permanenza.

Riferendosi anche ad un suo studio antecedente, questo documento della RAND suggerisce al Pentagono di attuare – lungo la frontiera russo-ucraina, punto nevralgico per il Capo del Cremlino – provocazioni sufficientemente forti da spingere Putin a commettere un passo falso così grave da giustificare una valanga di rappresaglie economiche da parte dell’intero Occidente, mettendo così in ginocchio la Russia.

In pratica, il documento della RAND spiega alla NATO come vincere una guerra contro la Russia senza scendere direttamente in campo: (1.) provocando Putin, (2.) lasciandolo reagire con violenza, (3.) per poi punirlo isolando la Russia politicamente e svenandola economicamente. In questo modo i soldati della NATO non avrebbero dovuto sparare un colpo; a dover pagare il prezzo di sangue dovuto alle reazioni violente del Cremlino sarebbero stati esclusivamente i militari e la popolazione dell’Ucraina, evidentemente considerati spendibili dagli estensori del documento.

In sostanza, nel 2018 la RAND ha descritto quello che sta succedendo in Ucraina oggi. Ma l’attuale guerra russo-ucraina ha origini ancora più lontane.

Si tratta dell’anno 2014. Ventitré anni dopo aver abiurato il suo passato sovietico e dopo aver abbracciato l’economia del mercato, la Russia aveva saputo creare, con i paesi dell’Unione Europea, legami di amicizia e di mutuo rispetto. La NATO aveva persino accolto la Russia come partner, fatto che nessuno oggi sembra ricordare! I legami commerciali – ma soprattutto scientifici e tecnologici – con l’Europa erano diventati fittissimi: nella biotecnologia, nell’informatica, nella ricerca spaziale, il tandem UE-Russia stava diventando una nuova super potenza mondiale. Una potenza che si estendeva dall’Atlantico fino agli Urali… e che cominciava a inquietare gli Stati Uniti. “Bisogna silurare questo fidanzamento!”, qualcuno a Washington avrà sicuramente detto. “Già fatichiamo a tener testa ai cinesi; non abbiamo certo bisogno di un concorrente ugualmente formidabile. Questo matrimonio non s’ha da fare!”

Così gli USA mettono in atto, per la prima volta, una serie di istigazioni non dissimili da quelle messe in atto oggi: prima viene creato un grave pericolo lungo la sensibilissima frontiera russo-ucraina, tale da provocare da parte del bullo Putin una risposta smisurata e quindi illegale; poi, per punire l’illegalità, vengono rotti i legami tra la Russia e l’Occidente (Europa in particolare) e vengono applicate sanzioni sufficientemente pesanti da affossare l’economia russa. Così l’Europa rimane dipendente dagli USA e la Russia viene cacciata dalla scacchiera mondiale.

Il piano ha funzionato. Ma solo a metà.

Il 2014, infatti, è l’anno delle proteste popolari a Kiev, in piazza Maidan, contro un governo ucraino corrotto e autoritario. Ma la rivolta viene espropriata da milizie ucraine filo-naziste, addestrate in una base NATO della Polonia, le quali impongono un presidente che quasi subito inizia la persecuzione dei cittadini russofoni dell’Ucraina e promette di cacciare la flotta russa dalla sua base in Crimea – una base d’importanza vitale per la Russia e garantita da un trattato della durata di 100 anni. Per il nuovo governo golpista di Ucraina, invece, quel trattato è solo carta straccia: il porto va tolto ai russi e dato alla NATO. Questo, poi, a pochi chilometri dalla frontiera russa.

Quanto basta per provocare Putin e fargli compiere due passi falsi: annettere la Crimea per salvare il porto, e dare assistenza militare ai russofoni del Donbass, per salvarli da un genocidio. Entrambe queste mosse costituiscono violazioni della carta ONU (che stabilisce l’integrità territoriale di un paese terzo e la non ingerenza nelle sue guerre civili): sono quindi meritevoli di sanzioni severe.

Ma le sanzioni non sono state varate interamente. L’annunciata valanga di rappresaglie contro la Russia fu fermata a metà strada dall’intervento di Angela Merkel. La Cancelliera tedesca seppe portare russi e ucraini – anche l’OSCE e persino osservatori NATO – ad un negoziato sfociato poi in una effettiva interruzione, seppur momentanea, delle ostilità. Ciò consentì alla Germania e all’Europa di interrompere i meccanismi sanzionatori studiati per debilitare la Russia (e per assoggettare l’Europa ad una sempre maggiore dipendenza energetica e commerciale dagli USA).

L’attuale conflitto in Ucraina va dunque letto come la prosecuzione del tentativo di destabilizzazione della Russia iniziatosi otto anni fa, ma poi interrotto e successivamente riproposto a partire dal 2018, con l’abrogazione da parte degli USA, in quell’anno, del trattato sui missili nucleari intermedi (IRBM). Quella abrogazione ha dato alla NATO la possibilità di dispiegare i temibili missili IRBM, a lungo vietati in Europa, persino sulle frontiere russe, dove in due minuti potrebbero raggiungere Mosca che non avrebbe il tempo per poterli intercettare. Questa è stata la prima istigazione di tutta una serie di provocazioni a partire dal 2018 – alle quali la Russia ha risposto con una serie di provocazioni proprie, come l’hacking, i missili a Kaliningrad e lo sconfinamento dei velivoli militari russi.  Il resto è storia dei nostri giorni.

Ma per cogliere appieno gli eventi di oggi, dobbiamo capire più a fondo gli eventi – assolutamente cruciali – dell’anno 2014. Chi scrive propone dunque la lettura di un suo articolo del 30 agosto di quell’anno. S’intitola Ci sono ancora speranze in Ucraina? e offre tanti paralleli con gli eventi che si svolgono in Ucraina oggi. Il link per leggerlo si trova in fondo a questo articolo.

Un’ultima considerazione: potrebbe Xi Jinping svolgere oggi il ruolo pacificatore che Angela Merkel ha svolto nel 2014?

Per ora la Cina non sembra disposta ad accettare il compito: nella sua telefonata con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden lo scorso 18 marzo, il presidente Xi, per tenersi fuori dalla mischia, ha citato un antico proverbio cinese: “Spetta a chi ha messo il sonaglio al collo della tigre il compito di toglierlo.” Vale a dire, “Voi americani avete voluto provocare la tigre russa con la ventilata espansione missilistica IRBM della NATO, ora tocca a voi togliere l’oggetto irritante da dosso. Noi cinesi abbiamo altro da fare.”

Tuttavia, la Cina ha troppi interessi in gioco per rimanere davvero alla finestra. Perderebbe troppo con l’annientamento, anche se solo economico, dell’alleato russo. Ha infatti bisogno di una Russia sempre forte per non restare sola ad affrontare il colosso statunitense che, con Biden al posto di Trump, ha saputo riunire intorno a se tutta l’Europa continentale. In pratica, Xi Jinping ha bisogno di salvare Putin da se stesso, ovvero dal suo grossolano e criminale tentativo di tenere la NATO lontana dalle proprie frontiere usando la violenza, un errore di calcolo diventato un boomerang.

E pensare che Putin era già caduta nella medesima trappola della NATO nel 2014!!

Ricascarci è segno davvero di una tracotanza e di una impetuosità che sono agli antipodi del modo di fare dei politici cinesi, basato sul profilo basso, sull’attesa paziente e sui passi in avanti incrementali.

In conclusione, se la Cina ha indubbiamente bisogno della Russia, non ha certo bisogno di Putin. Tutt’altro. Perciò potrebbe decidere – in maniera assai più discreta del Presidente Biden e nonostante la sua proverbiale politica di non ingerenza negli affari interni di altri paesi – di favorire un avvicendamento all’interno della dirigenza russa. Il final cut di questo penoso remake lo deciderà forse Xi Jinping.

L’articolo del 2014, Ci sono ancora speranze in Ucraina?
– che sembra scritto oggi –
è visibile qui:

https://staging1.pressenza.com/it/2014/08/ci-speranze-in-ucraina/

oppure qui https://bit.ly/ucraina2014