Le crisi scatenate in Myanmar dopo il colpo di stato militare del 1° febbraio dell’anno scorso “si sono approfondite ed estese in modo drammatico”, ha dichiarato l’inviato speciale delle Nazioni Unite nel Paese asiatico, Noeleen Heyzer, in un rapporto all’Assemblea generale dell’ONU.
Il Myanmar “continua a sprofondare in un conflitto profondo e diffuso. Si tratta di una delle più grandi emergenze di rifugiati al mondo e 14,4 milioni di persone, un quarto della popolazione, hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria”, ha dichiarato Heyzer.
Le crisi hanno fatto sprofondare il Paese in una spirale di povertà e violenza e hanno accentuato una delle più grandi emergenze al mondo, con quasi un milione di rifugiati di etnia Rohingya, per lo più musulmani, nel vicino Bangladesh e altre migliaia sparsi nella regione.
Il 1° febbraio 2021, l’esercito del Myanmar, noto come Tatmadaw, ha organizzato un colpo di Stato e arrestato Aung San Suu Kyi, la massima leader civile del Paese e Premio Nobel per la Pace 1991, il Presidente Win Myint e numerosi membri della sua Lega Nazionale per la Democrazia (LND), i quali sono stati processati da tribunali militari.
Il generale Min Aung Hlaing, comandante in capo del Tatmadaw, ha assunto il ruolo di presidente del Consiglio amministrativo dello Stato governando il Paese di 54 milioni di persone noto un tempo come Birmania. Il colpo di Stato ha scatenato le proteste dei civili con manifestazioni di piazza che sono state duramente represse, mentre centinaia di politici, attivisti sociali e giornalisti sono stati imprigionati e perseguiti.
Un anno dopo il colpo di Stato le vittime della repressione sono già più di 1.500, “e questa cifra non include altre migliaia di morti a causa del conflitto armato e della violenza che si sono intensificati in tutto il Paese”, ha dichiarato lo scorso febbraio l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet.
Heyzer ha dichiarato che sono stati segnalati fino a 600 gruppi di resistenza armata o “forze di difesa del popolo” impegnati in combattimenti, di cui alcuni hanno compiuto omicidi contro persone considerate “filomilitari”. La spirale di violenza si è accentuata nelle province di confine, dove vivono gruppi etnici diversi dalla maggioranza Bamar o birmana del Paese.
I militari “continuano a fare un uso sproporzionato della forza, hanno intensificato gli attacchi contro i civili e aumentato le operazioni contro le forze di resistenza, utilizzando i bombardamenti aerei”, ha dichiarato la rappresentante delle Nazioni Unite, che non è riuscita ad entrare nel Paese da quando è stata nominata sei mesi fa. Secondo il suo rapporto, “edifici civili e villaggi sono stati distrutti dal fuoco e le popolazioni sfollate sono state attaccate”.
L’economia birmana, come è noto, ha sofferto. C’è stato un crollo dei settori dell’edilizia, dell’abbigliamento, del turismo e dell’ospitalità, con la perdita di oltre un milione di posti di lavoro e una situazione generalmente precaria per i lavoratori.
Il governo de facto è stato escluso da alcuni programmi e riunioni dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico, di cui il Myanmar è membro, e vi sono pressioni internazionali per una soluzione politica. I militari si sono offerti di organizzare le elezioni nel 2023. A giustificare il colpo di Stato dello scorso anno sono state le accuse di irregolarità nelle elezioni di fine 2020, vinte dalla LND.
Secondo Heyzer, la situazione attuale è caratterizzata dal collasso delle istituzioni statali, dall’interruzione delle infrastrutture sociali ed economiche, tra cui la sanità, l’istruzione, le banche, la sicurezza alimentare e l’occupazione, mentre la criminalità e le attività illecite sono in aumento. A causa della pandemia di Covid-19 e della crisi politica, le iscrizioni scolastiche sono calate dell’80% in due anni, lasciando 7,8 milioni di bambini fuori dalla scuola.
“Una generazione che ha beneficiato della transizione democratica (2011-2021) è ora disillusa, si trova ad affrontare difficoltà croniche e, tragicamente, molti sentono di non avere altra scelta se non quella di prendere le armi”, ha commentato Heyzer.
L’inviata dell’ONU ha dichiarato che “continuerò a svolgere un ruolo di ponte, per rispondere alle esigenze di protezione e alle sofferenze dei più vulnerabili, e per sostenere la volontà del popolo per una futura unione federale democratica basata su pace, stabilità e prosperità condivisa”.
Traduzione dallo spagnolo di Giuseppe Marchiello. Revisione di Thomas Schmid.