Amal in arabo vuol dire speranza. Una ragazza sudanese di soli 20 anni, che porta questo nome, non ha più speranze di vivere, dopo che l’Alta Corte ha respinto il ricorso dei suoi avvocati per la cancellazione della condanna atroce e disumana, in primo grado, alla lapidazione. Una sentenza di un’enorme ingiustizia, in applicazione dell’anacronistica Sharia.
Il caso sta suscitando dibattito e interesse sui social in tutti i paesi arabi e islamici. Diverse organizzazioni per i diritti umani stanno seguendo il caso con appelli e petizioni.
È un caso simile a quello della nigeriana Safiya Husseini del 2001, salvata da morte sicura grazie a una campagna internazionale di raccolte firme e appelli alle ambasciate della Nigeria. Il compianto collega Rafaele Masto l’ha intervistata per il libro “Io, Safiya”- Sperling & Kupfer.